14 Giugno 2014

Istituito il Fondo di solidarietà residuale

di Luca Vannoni
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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto 7 febbraio 2014, un ulteriore passo viene compiuto verso l’estensione dell’operatività del nuovo ammortizzatore sociale previsto dalla Riforma Fornero.

La Legge 92/2012, meglio nota come Legge Fornero, all’art. 3, prevede l’introduzione di un nuovo ammortizzatore sociale, legato all’istituzione di fondi di solidarietà bilaterali di matrice contrattuale. Per superare l’immobilismo, poi verificatosi, delle parti sociali, con pochissimi fondi partiti – frutto, più che altro, di adeguamenti di enti bilaterali esistenti, come nel settore dell’artigianato – la normativa di riferimento prevede l’istituzione di un fondo di solidarietà residuale per le imprese, con più di 15 dipendenti, non rientranti nel campo di applicazione delle casse integrazioni.

Allo stato attuale, infatti, le poche esperienze dell’ammortizzatore bilaterale riguardano, come detto, il settore artigiano, che ha proceduto ai necessari adeguamenti con gli accordi interconfederali del 31 ottobre 2013 e 29 novembre 2013, il fondo di solidarietà del credito, gli autoferrotranvieri e il trasporto pubblico locale: evidente, quindi, il fallimento dell’intervento operato, con la totale esclusione del mondo del commercio “non ammortizzato”. In più, il disegno di legge delega, attualmente in discussione nel parlamento, prevede a breve una nuova tornata riformistica volta a ridisegnare il quadro degli ammortizzatori sociali.

Riguardo alle prestazioni, in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, con esclusione della cessazione, di un importo pari all’integrazione salariale, ridotte di un importo pari alla contribuzione apprendisti. Riguardo ai trattamenti concessi dal Fondo, si applica la normativa in materia di cassa integrazione ordinaria, compreso i massimali.

La durata massima dell’intervento del Fondo è pari a tre mesi continuativi, che potrà essere prorogata, in via eccezionale, trimestralmente fino ad un massimo complessivo di 9 mesi in un biennio mobile.

Ovviamente, in ottica datoriale, diventa fondamentale definire i soggetti obbligati e i relativi obblighi contributivi.

L’INPS, in teoria entro 30 giorni dall’entrata in vigore del Decreto, dovrà individuare, concretamente, i soggetti tenuti al versamento della contribuzione al fondo. È opportuno evidenziare sin da subito le regole che il Decreto ha fissato per il computo dei 15 dipendenti, materia spesso non affrontata direttamente (non è questo il caso), con notevoli problemi operativi (vedi le recenti limitazioni per il contratto a termine): le imprese devono avere mediamente occupato più di 15 lavoratori nel semestre precedente la data di inizio delle sospensioni o delle riduzioni dell’orario di lavoro.

Attenzione alle regole per il finanziamento delle prestazioni: oltre a un contributo ordinario dello 0,50% della retribuzione mensile imponibile, due terzi a carico del datore di lavoro e un terzo a carico dei lavoratori, è previsto un contributo addizionale a carico del datore di lavoro, calcolato sulle retribuzioni perse, pari al 3% per le imprese fino a 50 dipendenti, che diviene il 4,50% per le imprese che occupano più di 50 dipendenti. Il versamento decorre, retroattivamente, dal 1° gennaio 2014: i contributi sono dovuti mensilmente solo se la media occupazionale del semestre precedente è superiore a 15 dipendenti. Sul punto, ad ogni modo, sarà fondamentale attendere le imminenti istruzioni INPS.

Ulteriori vincoli nell’erogazione delle prestazioni derivano dagli obblighi di bilancio contenuti nell’art. 6 del Decreto: il fondo residuale non può erogare prestazioni se non in pareggio di bilancio, e quindi solo se c’è disponibilità finanziaria.

In conclusione, la strada scelta, sia come tempi che come merito, non sembra essere la migliore: la chimera dell’universalizzazione degli ammortizzatori sociali, con tutta probabilità, rimarrà tale, tenuto conto dei vincoli nel riconoscimento delle prestazioni. Con tutta probabilità, sarebbe stato molto più semplice intervenire sugli ammortizzatori sociali esistenti, in particolare il sistema delle casse ordinarie, estendendo la platea delle aziende e dei lavoratori interessati, ampliando la base di finanziamento e concentrando i costi di struttura su enti esistenti.