21 Gennaio 2015

Inopponibile alla società la simulazione del conferimento

di Fabio Landuzzi
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Con la Sentenza n. 17467/2013 la Corte di Cassazione ha trattato un controverso e complesso caso relativo ad una eccezione di simulazione di un conferimento di azienda eseguito in una società di capitali in esecuzione di una delibera di aumento del capitale sociale approvata dall’assemblea dei soci e non impugnata.

La controversia traeva origine dall’iniziativa degli eredi di un socio di Srl volta ad ottenere l’inefficacia per simulazione di un conferimento in natura eseguito dal de cuius, a seguito di una delibera di aumento del capitale sociale del Srl, in quanto essi avevano rinvenuto un documento firmato dal conferente e dal legale rappresentante della società, nel quale si affermava che l’azienda conferita doveva comunque rimanere nell’esclusiva disponibilità del conferente, il quale avrebbe anche potuto disporne la vendita senza il preventivo consenso della società. La Corte di appello aveva accolto l’istanza degli eredi e dichiarato l’inefficacia per simulazione assoluta del conferimento, ritenendo così che le norme sulla simulazione potessero trovare applicazione anche nel caso dei conferimenti societari; in sostanza, la nullità per simulazione del conferimento si sarebbe estesa anche alla delibera assembleare la cui nullità sarebbe così stata rilevabile d’ufficio.

La Corte di Cassazione ha invece definitivamente rigettato il ricorso degli eredi rilevando preliminarmente che il conferimento non ha i caratteri del negozio unilaterale, in relazione al quale si andrebbe a verificare la simulazione avuto riguardo alla volontà di trasferire il bene solo ed esclusivamente in capo al soggetto conferente. Diversamente, il conferimento si colloca come atto esecutivo nell’ambito di un procedimento diretto a soddisfare una esigenza organizzativa della società e, nel contempo, diretto a tutelare l’interesse del conferente a partecipare alla società o ad aumentarne il proprio peso partecipativo.

In altri termini, la fattispecie presenta caratteristiche comuni al contratto di scambio, essendo evidente lo stretto nesso causale esistente tra l’acquisto della società e l’incremento del valore della partecipazione del socio conferente. Si tratta perciò di un’operazione che si perfeziona mediante il consenso delle parti e che richiede sia la volontà della società (mediante la delibera di aumento di capitale) e sia dei conferenti (mediante la sottoscrizione del nuovo capitale).

Per questa ragione, l’eventuale simulazione si potrebbe ammettere, secondo la Cassazione, solo in relazione alla fattispecie unitariamente considerata: aumento di capitale e conferimento. Considerata quindi l’inscindibilità della fattispecie, non può esservi spazio per la simulazione del conferimento senza che vi sia anche una simulazione dell’aumento di capitale.

Ecco allora che, se un simile accordo fosse stato concluso fra i soci (il conferente e gli altri soci), questo non sarebbe altro che un patto parasociale, vincolante per coloro che lo hanno sottoscritto ma non verso la società conferitaria estranea a questo accordo. Se tale accordo fosse intervenuto fra il conferente e la società, ecco allora che occorre guardare con attenzione all’azione dell’organo sociale che ha agito in rappresentanza della società.

Secondo la Corte di Appello di Milano sarebbe stata sufficiente la firma dell’amministratore unico della società conferitaria per dimostrare la simulazione; secondo la Suprema Corte, invece, la rappresentanza della società non può eccedere i limiti previsti dalla legge, sottolineando come agli amministratori delle società di capitali non spetti il potere di disporre dell’aumento di capitale sociale.

Gli amministratori non hanno quindi il potere di concludere in nome della società un accordo avente ad oggetto la variazione del capitale sociale – salvo casi eccezionali in cui essi siano stati a ciò delegati – con la conseguenza che non hanno neppure nessun potere di simulare queste operazioni, considerato che un simile potere spetterebbe all’assemblea.

In conclusione, la Corte di Cassazione osserva che l’organo amministrativo di una società di capitali non ha il potere di concludere, all’atto dell’esecuzione di una delibera di aumento di capitale sociale, un accordo volto a simulare il conferimento; ovvero, un’eventuale dichiarazione di questo tenore, poiché riguarderebbe l’esercizio di poteri che non sono attribuiti all’organo amministrativo, non avrebbe alcun valore e non potrebbe in ogni caso essere opposta alla società.