7 Gennaio 2014

Impugnabilità del diniego di disapplicazione: orientamenti della giurisprudenza di legittimità

di Luigi Ferrajoli
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In tema di autonoma impugnabilità del diniego di disapplicazione emanato con provvedimento della Direzione Regionale delle Entrate in esito al procedimento instaurato con la presentazione dell’istanza di interpello antielusivo, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. 600/1973, l’orientamento della Corte di Cassazione si attesta senz’altro sul riconoscerne l’ammissibilità, seppur con motivazioni non univoche.

Occorre ricordare, preliminarmente, che il provvedimento emanato in esito alla presentazione dell’istanza di interpello non risulta annoverato tra gli atti direttamente impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie dall’articolo 19 del D.Lgs. 546/1992. Da tale silenzio normativo discende la problematica relativa alla sua autonoma impugnabilità oggetto di contenzioso tra il destinatario dell’atto e l’Amministrazione finanziaria che sostiene la tesi della non impugnabilità.

Le pronunce più rilevanti della Corte di Cassazione in merito alla questione che ci occupa sono prevalentemente due.

Con la sentenza n.8663 del 15/04/2011, la Suprema Corte ammette l’autonoma impugnabilità dinanzi alle Commissioni tributarie del diniego di disapplicazione della norma antielusiva assimilandolo nella sostanza alla negazione di agevolazioni fiscali, pertanto il relativo provvedimento sarebbe direttamente impugnabile ai sensi dell’articolo 19, lettera h), del D.Lgs. 546/1992. La mancata impugnazione nei termini di legge del provvedimento comporta, inoltre, l’impossibilità di una successiva contestazione. La conseguente definitività del provvedimento rende, pertanto, “necessaria” tale impugnazione laddove il contribuente voglia contestare la posizione assunta dall’Amministrazione.

L’interesse ad agire del destinatario del diniego viene individuato nella circostanza che attraverso l’azione giurisprudenziale il ricorrente è in grado di evitare un effetto a sé pregiudizievole.

Infine, la Suprema Corte riconosce che la vicenda ha ad oggetto diritti soggettivi e non interessi legittimi ed il giudizio del giudice tributario è a cognizione piena, per cui estendendosi questa al merito dell’atto e non alla mera illegittimità del medesimo è possibile una decisione di merito sulla fondatezza o meno della domanda di disapplicazione, attribuendo direttamente, ove si ritengano ricorrenti le condizioni applicative, la agevolazione fiscale richiesta.

Tale orientamento non è, tuttavia, pienamente accolto neanche dalla stessa Cassazione che, in una successiva pronuncia, giunge alla medesima soluzione in merito alla impugnabilità pur basandosi su presupposti diversi.

Con la successiva sentenza n. 17010 del 05/10/2012, la Suprema Corte riconosce la sussistenza dell’interesse ad agire del ricorrente in quanto il diniego di disapplicazione è atto idoneo ad incidere immediatamente nella sfera giuridica del destinatario, perché, pur non traducendosi in un diniego di agevolazione in senso tecnico, al verificarsi di determinati presupposti conduce all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello ordinariamente applicabile.

Ciò implica la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portano comunque a conoscenza del contribuente una “ben individuata” pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa sia concretizzata nella forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’articolo 19 del D.Lgs. 546/1992

La mancata impugnazione non determina la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) della pretesa reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso articolo 19.

All’atto de quo non può comunque attribuirsi natura meramente endoprocedimentale o di semplice parere interpretativo (al pari di una circolare), pertanto non può negarsi che il contribuente, destinatario della risposta, abbia l’interesse, ex art. 100 Cod.Proc.Civ., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto stesso.

Le sentenze illustrate sono le più emblematiche di quell’orientamento giurisprudenziale, oramai prevalente, che ammette l’autonoma impugnabilità del provvedimento emanato in esito alla presentazione dell’istanza di interpello. Al contrario, in sede amministrativa risulta ancora prevalente la tesi che non ammette tale autonoma impugnabilità e quindi la necessità di attendere che la pretesa tributaria si concretizzi in uno dei provvedimenti tipici emessi al termine della eventuale successiva fase di accertamento.