Illegittimità pregiudiziale dell’atto di recupero del credito R&S: seconda parte
di Luciano SorgatoIn ordine alla possibile illegittimità pregiudiziale degli atti di recupero del credito R&S, già in uno scritto precedente (“Illegittimità pregiudiziale dell’atto di recupero del credito R&S: Prima parte”) si è sottolineato come motivi di sola superficie, talora solo racchiusi in generiche definizioni ritratte dai Manuali di Frascati ed Oslo, senza alcuna autentica contestualizzazione con le rappresentate prerogative di novità dei progetti perseguiti, non prestino osservanza alle nuove prescrizioni sull’effettività del contraddittorio, come ora contemplate dall’articolo 6-bis, Statuto del contribuente, procurandone la nullità anticipata rispetto a qualsiasi indagine di merito.
In tale seconda parte, si intende, invece, analizzare la pregiudiziale nullità dell’atto di recupero per mancanza di aderenza dell’istruttoria amministrativa al modello legale, venendo il diniego del premio fiscale fatto fondare sulla sola base di mere cognizioni di superficie, apprese da generiche fonti informative come internet. A tale proposito, si deve precisare come la funzione impositiva si conformi ad un’attività vincolata, da intendere come sottoposta ad indeclinabili tutele nei confronti del contribuente come scolpite, oltre che nello Statuto del contribuente, anche nei Principi comunitari che presidiano il corretto procedimento amministrativo. Tali principi costituiscono, quindi, i parametri cui deve essere uniformato anche il procedimento di accertamento fiscale, anche quando quest’ultimo è connesso a settori che non costituiscono diretto oggetto di competenza comunitaria.
I principi dell’ordinamento europeo rilevano, poi, sotto il versante dell’articolo 117, comma 1, Costituzione, il quale testualmente dispone che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’Ordinamento comunitario”. Risulta essere assolutamente consolidata l’opinione per cui l’articolo 117, Costituzione, ha reso i principi generali del diritto comunitario, parametri di legittimità costituzionale delle norme del diritto interno, per cui la norma nazionale deve essere, in primis, interpretata in via adeguatrice ai principi costituzionali (secondo il canone elaborato dalla Corte Costituzionale) e, quindi, pure di quelli comunitari, ovvero censurata, in quanto illegittima per contrasto con i predetti principi (Si cfr. F. Gallo, “I principi di diritto tributario: problemi attuali”, in Rass. Trib., 2008).
In ordine ai principi generali del diritto comunitario, pienamente interagenti con il procedimento di accertamento fiscale, vanno innanzitutto annoverate le specifiche tutele previste per la fase che precede l’adozione di un qualsiasi atto produttivo di effetti lesivi della sfera giuridica del destinatario. Non solo tali principi sono stati reiteratamente affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ma, per effetto del Trattato di Lisbona, sono persino divenuti veri e propri principi costituzionali dell’Ordinamento Comunitario, dato che la Carta di Nizza (la quale ne costituisce componente essenziale ex articolo 6, § 1, TUE) attribuisce espressamente ad ogni cittadino (articolo 41) il diritto alla c.d. buona amministrazione.
Alla luce di quanto sopra esposto, la ratio dell’articolo 8, comma 2, D.M. 27/05/2015, non può che venire raccordata con quanto sopra rappresentato con il supporto della più chiara Dottrina Accademica. Ma anche la sua stessa versione letterale, se correttamente intesa, secondo i canoni del diritto amministrativo, avvalla e non smentisce l’obbligo istruttorio: “qualora nell’ambito dell’attività di verifica e di controllo effettuate dall’Agenzia delle Entrate si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico in ordine all’ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi sostenuti, la predetta Agenzia può (deve) richiedere al MISE di esprimere il proprio parere”. Il testo letterale “qualora nell’ambito della verifica si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico (e non, si sottolinea, “particolari difficoltà valutative di carattere tecnico”, ma “mere valutazioni di carattere tecnico”) … la predetta Agenzia può …”, evidenzia come, salvo la manifesta implausibilità dei requisiti di legge, epidermicamente percepibile anche da un non addetto, sprovvisto di ogni cognizione tecnica, si renda necessaria l’integrazione dell’attività istruttoria con il supporto tecnico del Mise, proprio per la sua ricongiunzione causale con un procedimento amministrativo autoritativo e con singolari prerogative di autotutela esecutiva dell’atto impositivo. Il “può”, quando interagisce con un’attività amministrativa vincolata, non va inteso secondo l’ordinario paradigma semantico, come rinvenibile in un qualsiasi vocabolario della lingua italiana (verbo indicante la mera facoltà), ma piuttosto, in stretta coerenza di scopo, con la natura del “giusto procedimento”, rigidamente incapsulato nei presidi di tutela sopra rappresentati. Non è mai sinonimo di discrezionalità rimessa al destinatario del potere, dal momento che, per l’unanime letteratura amministrativistica, esso si raccorda in modo vincolato, traducendosi in “deve”, al solo riscontro dei presupposti indicati dalla Legge (le indicate valutazioni tecniche).
In conseguenza del fatto che in sede applicativa gli Uffici devono occuparsi di questioni di rilevanza tecnica di cui mancano (comprensibilmente) delle necessarie cognizioni tecniche specialistiche, il Ministero dello sviluppo economico, con circolare n. 59990/2018, ha chiarito che, trattandosi di incentivi che operano in automatico, in caso di incertezze o necessità di chiarimenti, sarà la sua Struttura a fungere da interlocutrice per dirimere le incertezze ed i dubbi relativi. Tale interlocuzione viene colta con chiarezza nella circolare dell’Assonime del 14 novembre 2019, n. 23, che rileva che gli stessi Organi verificatori necessitano dell’intervento dei competenti Uffici del MISE, per accertare se l’attività svolta dall’impresa può considerarsi ammessa al beneficio dell’agevolazione. Così testualmente l’Assonime (pag.14) “Non appare privo di rilevanza la circostanza che gli stessi verificatori, stante la complessità delle varie fattispecie da esaminare, devono fare affidamento sull’interlocuzione e valutazione di soggetti terzi in possesso delle necessarie competenze tecniche”.
La mancata interazione con l’Organo competente e l’arresto del giudizio a mere osservazioni di resistenza solo ritratte da generiche fonti informative determina la nullità sempre pregiudiziale dell’atto di recupero e in tale preciso senso, si sono già pronunciati praticamente all’unisono i Giudici di merito a partire dalla CTP di Vicenza, sentenza n. 365/21 del 9 luglio 2021.