19 Dicembre 2013

Il trust antimafia

di Luigi Ferrajoli
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Il “trust antimafia” è uno strumento nato dalla prassi per preservare le realtà imprenditoriali dalle conseguenze derivanti dall’emissione dell’informativa prefettizia di tipo interdittivo, utilizzato per sottrarre il patrimonio societario dalla sfera di proprietà dei soggetti sospettati; per assolvere il suo scopo, è tuttavia necessario che non mantenga alcun legame con la precedente compagine sociale.

Con la sentenza n. 1386 del 07/03/2013, la III sezione del Consiglio di Stato si trova a decidere in relazione all’impugnazione di una informativa a carattere interdittivo ex art. 10 D.P.R. 252/1998 notificata ad una società; a seguito della ricezione dell’atto prefettizio, i soci avevano costituito un trust nel quale erano state conferite le quote sociali, inoltre il trustee aveva nominato un nuovo amministratore unico.

Nella decisione di primo grado, il TAR ha ricostruito i caratteri distintivi del trust antimafia costituito dalla società, ritenendo che l’atto istitutivo del trust in esame non prestava il fianco al pericolo di elusioni della disciplina sulle informative antimafia, considerata la qualità dei soggetti individuati come trustee e come guardiani; tuttavia, il Tar ha respinto il gravame, rilevando che l’informativa prefettizia era sorretta da una adeguata motivazione, non incisa dalle considerazioni della ricorrente.

La società ha proposto appello deducendo l’erroneità della sentenza, che, pur rilevando che il trust era stato costituito per garantire l’assoluta integrità della società, al fine specifico di segregarne i beni, per permettere la prosecuzione della sua operatività senza che vi potesse essere alcuna influenza gestionale dei precedenti soci o di chiunque altro potesse essere sospettato di possibile convivenza con una associazione di delinquenza organizzata, aveva poi respinto il ricorso sulla base della partecipazione della ricorrente in altri consorzi impegnati in attività edile, il cui amministratore era il precedente amministratore unico della società; inoltre tale soggetto continuava ad essere dipendente della società, insieme al fratello, con conseguente rischio di infiltrazioni e condizionamenti provenienti dalla criminalità organizzata.

L’appellante ha rilevato inoltre che se il Tar aveva riconosciuto che i professionisti individuati per l’amministrazione e il controllo della società (trustee e guardiani) erano di caratura tale da scongiurare il pericolo di elusione della disciplina sulle informative antimafia, non era poi logico mantenere il sospetto del controllo da parte della criminalità organizzata per la presenza di due soggetti beneficiari, figli dei disponenti, assunti dalla società per meri compiti esecutivi; in sostanza, secondo l’appellante, i due soggetti non avrebbero potuto condizionare le scelte societarie, tanto più che si era successivamente disposta la risoluzione del rapporto lavorativo.

Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato rileva innanzitutto che l’interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione e che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti i quali, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione. Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati.

D’altro canto, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, la misura interdittiva può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale da parte della criminalità organizzata.

Con riferimento al caso specifico, il Consiglio di Stato riconosce che, in astratto, l’atto istitutivo del trust in esame, non prestava il fianco al pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, venendosi effettivamente a determinare un distacco della nuova compagine sociale da quella vecchia, anche considerata la qualità dei soggetti individuati come trustee e come guardiani.

I Giudici rilevano tuttavia che, in concreto, devono essere approfondite e adeguatamente considerate sia l’evidente derivazione del trust dalla società già destinataria di informativa antimafia, sia la connessione esistente tra la precedente società e la nuova compagine societaria; la sussistenza di un legame tra le due diverse compagini sociali è inoltre resa particolarmente evidente dalla circostanza che quest’ultima annovera tra i propri dipendenti i due soggetti figli dei disponenti. Per tali motivi Il Consiglio di Stato ritiene legittimo il provvedimento prefettizio e rigetta l’appello.