24 Aprile 2014

Il trattamento tributario dei costi c.d. “black list”

di Davide De GiorgiRaffaello Fossati
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L’articolo 110, comma 10 e 12-bis, del Tuir stabilisce una presunzione RELATIVA di indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis.

A contrariis tale deduzione è ammessa per le operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto.

Il fine del decreto consiste nell’individuazione di una serie di Stati o territori esteri in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti.

In attesa di una rivisitazione “organica” dell’individuzione dei territori “non white list” il driver di riferimento è il D.M. 23 gennaio 2002 (pubblicato in G.U. Del 4 febbraio 2002), oggetto di successive modificazioni ed integrazioni a seguito dell’emanazione dei decreti ministeriali D.M. 22 marzo 2002 (pubblicato in G.U. del 3 aprile 2002); D.M. 27 dicembre 2002 (pubblicato in G.U. del 14 gennaio 2003); D.M. 27 luglio 2010 (pubblicato in G.U. del 4 agosto 2010) e D.M. 11 gennaio 2013 (pubblicato in G.U. del 25 gennaio 2013).

Tale presunzione può essere utilmente superata dal contribuente, a condizione che questi provi alternativamente che le imprese estere svolgono un’attività economica effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico, oltre alla circostanza indefettibile della concreta esecuzione della fornitura.

Il delineato regime di deducibilità è completato dall’obbligo di SEPARATA indicazione di detti costi “paradisiaci” nel Modello UNICO SC 2014.

È dunque previsto l’obbligo per i contribuenti di INDICARE una variazione in aumento del reddito imponibile, evidenziata, per quanto riguarda il Modello UNICO 2014 SC, nel rigo RF29, indicando le spese e gli altri componenti negativi in commento, e contestualmente, una variazione in diminuzione evidenziata nel rigo RF52 per le operazioni considerate deducibili.

A fronte della VIOLAZIONE del citato obbligo dichiarativo (ma ricorrendo le c.d. esimenti), la sanzione, a parere dell’Amministrazione finanziaria, è ora comminata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3-bis, il quale prevede “una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000”.

La suddetta sanzione sembrerebbe NON proporzionale se si considera irrogata a fronte di un mancato adempimento dichiarativo che si palesa in una variazione in aumento e in una corrispondente variazione in diminuzione, di modo che le due variazioni di segno contrario vengano a compensarsi tra loro senza generare né materia imponibile , conseguentemente, maggiore imposta.

La Suprema Corte di Cassazione è intervenuta con una pronuncia sul punto, sostanzialmente ribaltando l’orientamento espresso dall’Amministrazione finanziaria in tema di sanzioni.

I Giudici, con la sent. n. 26298 del 29 dicembre 2010 (emessa in riferimento ad annualità precedenti al 2007), da un lato confermano che la mancata separata indicazione di tali costi in dichiarazione non esplica più effetti negativi in ordine alla deducibilità degli stessi, e dall’altro concludono che la sanzione pari al 10% di tali costi con un minimo di euro 500,00 ad un massimo di euro 50.000,00 deve essere irrogata “soltanto qualora l’impresa avente sede in Italia non provi le circostanze che le danno diritto alla deduzione, in deroga al principio generale d’indeducibilità del costo di merci importate da Paesi black list. Ciò significa che l’an debeatur di tale sanzione, e la misura di essa, dipendono dall’esito del giudizio di rinvio, concernente la prova delle circostanze che consentirebbero la deduzione, in tutto o in parte, di dette spese. Mentre la sanzione da euro 258 a euro 2.065, comminata dall’articolo 8, comma 1 del D.Lgs. n. 471/1997 per la violazione formale costituita dall’omessa indicazione separata di esse in dichiarazione, residuerebbe solo nel caso in cui la suddetta prova risulti fornita”.

Tra l’altro, la disciplina dei costi “paradisiaci” potrebbe rivelarsi, in alcuni casi, non compatibile con la clausola di “non discriminazione” presente in alcune convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia. Sul punto si rimanda a Euroconference News: “Le Convenzioni contro le doppie imposizioni e i rapporti con le disposizioni tributarie del Tuir”, mercoledì, 5 marzo 2014, di Davide De Giorgi e Raffaello Fossati.