27 Settembre 2013

Il risparmio accumulato blocca il sintetico

di Giovanni ValcarenghiMario Agostinelli
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La ricchezza accumulata negli anni precedenti a quello di accertamento sintetico è una prova valida a giustificare lo scostamento tra reddito accertabile e reddito dichiarato. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.21994 del 25 settembre 2013, che può rappresentare un utile passo in avanti nella costruzione di un quadro sempre maggiormente definito attorno al tema dell’accertamento sintetico.

Si intravede, quindi, un principio interpretativo fondamentale nella corretta applicazione del redditometro. La funzione di questo strumento di accertamento è quello di verificare la corrispondenza tra capacità di spesa manifesta del contribuente e la sussistenza di legittime cause di finanziamento riconducibili allo stesso soggetto.

Ne deriva che, laddove il contribuente, pur avvalendosi di presunzioni semplici di cui all’articolo 2729 del Codice civile, fornisca la prova della sussistenza di cause di finanziamento nella misura coerente con il tenore di vita espresso dalla spesa sostenuta, il meccanismo presuntivo indicato dalla norma si arresta, con onere a carico dell’ufficio di contrastare l’assunto del contribuente mediante ulteriori prove valide in giudizio.

Una decisione che, pur avendo a riferimento il redditometro di “vecchia generazione”, esprime in modo convincente quelli che devono essere i corretti presupposti interpretativi che dovranno interessare le possibilità di prova utilizzabili dal contribuente anche con riferimento al nuovo accertamento sintetico come aggiornato dall’articolo 22 del D.L. 78/2010.

In particolare si ricorda che, il comma 4 dell’articolo 38 del D.P.R. 600/73 stabilisce che la presunzione data dall’equazione “spesa = reddito sintetico lordo complessivo del contribuente”, non diviene “pericolosa” se il contribuente prova che il finanziamento della spesa è avvenuto con redditi diversi da quelli del periodo di imposta oggetto di verifica.

Una parte della norma che sembra sia stata poco approfondita, ma che attribuisce un privilegio probatorio a favore del contribuente. Il contribuente, ai sensi di tale disposizione, potrà, di fatto, dimostrare la sussistenza di rilevanti redditi o risorse finanziarie legittime realizzate in anni precedenti a quello dell’accertamento per arrestare l’inversione dell’onere probatorio in applicazione del dispositivo normativo dell’accertamento redditometrico.

Si tratta, come è stato ormai definito in modo efficace, di un “effetto salvadanaio” capace di tranquillizzare la posizione di molti contribuenti in capo ai quali non si verifica coincidenza temporale tra il momento dell’accumulo e quello della spesa. In tal caso, l’unico “disturbo” è quello di avere la possibilità di dimostrare l’esistenza di un salvadanaio sufficientemente colmo da giustificare gli esborsi successivi. Si potrà poi argomentare in merito alla necessità di risalire nel tempo (ma sino a quando?) per poter fornire la prova convincente ed, ancora, sulla sussistenza di una anzianità massima per questo ragionamento a ritroso; al riguardo, si crede che possa essere sufficiente dimostrare l’esistenza della provvista al momento della spesa, proprio a tacitare qualsiasi dubbio in merito alla provenienza del denaro materialmente utilizzato.

In tale ipotesi, allora, è l’ufficio che dovrà, utilizzando i propri poteri istruttori, verificare che tale situazione prospettata dal contribuente non sia sufficiente a dimostrare la copertura finanziaria delle spese sostenute nel periodo di imposta.

Non sembra quindi, a differenza di quanto affermato dall’Agenzia delle entrate con circolare n.24/E/2013, che sia necessario fornire da parte del contribuente l’ulteriore prova dell’utilizzo della provvista finanziaria riconducibile alla ricchezza formata in anni precedenti. Quindi, nessun obbligo di ricostruzione della diretta riconducibilità dei movimenti finanziari resta a carico del contribuente, che sembra potersi limitare a fornire la indicazione della disponibilità della pregressa provvista.

Si tratta, quindi, di attendere che tali elaborazioni giuridiche assumano una posizione consolidata, nella speranza che si realizzi materialmente una posizione di equilibrio nel rapporto tra amministrazione e contribuente; è ovvio, che la efficacia effettiva si potrà dimostrare solo ove gli uffici periferici utilizzino comportamenti coerenti con tali principi, evitando la necessità di attivare contenziosi tributari che potrebbero risultare inutili.