13 Marzo 2015

Il rent to buy: una buona soluzione per chi non ha “fretta di vendere”

di Fabio Garrini
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Il contratto di rent to buy ha ricevuto un impulso importante con il D.L. n. 133/2014, quantomeno sotto il profilo della garanzia a favore dell’acquirente, ma l’assenza di chiare regole fiscali ne rendeva materialmente difficile l’impiego; finalmente l’Agenzia si è espressa con la C.M.  n. 04/E/2015, colmando di fatto la lacuna normativa. Tale documento di prassi è già stato oggetto di analisi sulle pagine della presente rivista telematica; in questa sede si analizzano gli aspetti legati al canone percepito da contribuente che detiene l’immobile al di fuori del regime d’impresa.

 

Il rent to buy: casi di utilizzo

In questo periodo di “stanca” nel mondo immobiliare, il contratto di rent to buy è certamente una buona soluzione per cercare di smuovere le compravendite di fabbricati; se esso viene sempre più frequentemente utilizzato dalla imprese per agevolare le vendite, altrettanto occorre osservare che le agenzie di intermediazione immobiliare sempre più spesso lo propongono anche ai privati che tentano di alienare i propri immobili.

Malgrado spesso ci si riferisca, disquisendo del presente contratto, al caso di locatore/cedente esercente attività d’impresa (sia la massima AIDC n. 191/2014 che lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 490-2013/T si dedicano principalmente all’impatto sul reddito d’impresa e alle problematiche Iva), a ben vedere, quantomeno in prospettiva, il contratto forse potrebbe avere maggior fortuna quando il possessore è soggetto che agisce al di fuori del regime d’impresa. L’impresa immobiliare ha quale finalità quella di alienare immobili che ha costruito o acquistato e, se l’acquisto o costruzione sono avvenuti ricorrendo al finanziamento bancario, non sempre è possibile attendere troppo tempo prima di vendere; per tale motivo, in relazione ad immobili posseduti da tali soggetti, la soluzione del rent to buy pare più simile ad una extrema ratio (con la quale purtroppo alcune imprese sono tenute a confrontarsi) che una solida strategia.

Al contrario, quando chi deve vendere è soggetto che detiene gli immobili nella sfera privata, spesso la vendita risponde ad un desiderio di liberarsi di un immobile che non viene utilizzato, più che ad una effettiva necessità impellente di vendere.

Si pensi al caso di soggetto che intende vendere la casa al mare o in montagna acquistata in anni precedenti e che oggi non viene più utilizzata per mutate esigenze familiari, oppure al contribuente che ha acquistato una nuova abitazione e cerca di vendere la precedente, oppure ancora ai figli che hanno ereditato l’immobile in cui vivevano i genitori, oggi defunti. Si tratta di vendite per “disinteresse” nell’immobile, che quindi può avvenire anche con più calma. Per tale motivo gestire la cessione tramite un contratto rent to buy può essere una buona soluzione per rispondere a queste esigenze: non avendo un bisogno impellente di vendere, offrendo sul mercato una locazione provvisoria al possibile acquirente si riesce certamente ad intercettare una platea di soggetti ben più ampia, spesso riuscendo anche a spuntare un prezzo più interessante rispetto ad una vendita immediata (dove l’acquirente, in un periodo di mercato stagnante, ha certamente molte carte da spendere per portare la trattativa dalla propria parte).

 

La divisione del canone

Secondo l’Agenzia, il godimento di cui beneficia il futuro acquirente deve essere assimilato, ai fini fiscali, alla locazione dell’immobile e, pertanto, per la quota di canone imputata al godimento dell’immobile trovano applicazione le disposizioni previste, sia ai fini delle imposte dirette che delle imposte indirette, per i contratti di locazione.

In altre parole, la frazione di canone percepita a fronte del godimento dell’immobile deve considerarsi per il proprietario/concedente quale reddito di fabbricati e deve essere assoggettata alternativamente:

  • ad Irpef in base alle regole dettate dal richiamato art. 37, comma 4-bis, del Tuir per le locazioni, secondo cui se il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5% (ovvero altre maggiori riduzioni per i diversi casi particolari, ad esempio la riduzione del 35% nel caso di immobile vincolato), sia superiore al reddito medio ordinario (c.d. rendita catastale) rivalutato, il reddito imponibile è quello del canone di locazione al netto di tale riduzione;
  • in alternativa è possibile applicare la tassazione cedolare, in base all’aliquota del 21% ovvero del 10%, quest’ultima da utilizzabile in relazione ai contratti a canone concordato per Comuni ad alta densità abitativa e per i Comuni per i quali è stato deliberato, nei 5 anni precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 47/2014, il 28.05.2014, lo stato di emergenza a seguito del verificarsi di eventi calamitosi. Tale aliquota va applicata sull’intero importo del canone percepito. Ovviamente occorre rispettare tutti i requisiti stabiliti dal D.Lgs. n. 23/2011 per l’applicazione di tale tassazione alternativa.

 

Il canone da imputarsi alla futura compravendita dell’immobile assume la natura di anticipazione del corrispettivo del trasferimento e, in quanto tale, deve essere assimilato, ai fini fiscali, agli acconti del prezzo della successiva vendita dell’immobile. Le quote del canone imputate ad acconto prezzo, costituendo parte del corrispettivo del trasferimento, devono essere assoggettate a imposizione in base alla disciplina dei redditi diversi: conseguentemente tali quote del canone non saranno tassate in vigenza del contratto (ossia durante il periodo di godimento), ma diventeranno imponibili se e quando avverrà l’effettiva vendita dell’immobile.