10 Aprile 2014

Il rappresentante fiscale può avvalersi del plafond per non pagare l’Iva sugli acquisti

di Marco Peirolo
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Ci sono imprese extra-UE che fanno uso di “magazzini centrali” situati in uno o più Paesi membri nei quali vengono introdotti i beni acquistati per essere successivamente rivenduti sui mercati europeo e/o mondiale.

Ipotizzando che uno di questi magazzini si trovi in Italia e che in esso siano stoccati i beni acquistati da fornitori nazionali, l’impresa non residente:

  1. dal lato passivo, riceverà fatture con addebito dell’IVA, in quanto relative ad operazioni “interne”, che si considerano territorialmente rilevanti in Italia ai sensi dell’art.7-bis, comma 1, del D.P.R. n.633/1972;
  2. dal lato attivo, cioè in sede di rivendita dei beni, non applicherà l’IVA, trattandosi di cessioni:
  • in reverse charge, se l’acquirente è italiano (cessione interna, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972);
  • ovvero, non imponibili, se l’acquirente è localizzato in altro Paese UE (cessione intracomunitaria, ai sensi dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993) o in un Paese extra-UE (cessione all’esportazione, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972).

Nella situazione descritta, l’impresa estera è obbligata ad identificarsi ai fini IVA in Italia per mezzo di un rappresentante fiscale, posto che l’identificazione diretta (di cui all’art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972) resta tuttora preclusa per i soggetti extra-UE (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 220 del 5 dicembre 2003).

La nomina del rappresentante fiscale, secondo le modalità previste dall’art.17, comma 3, del D.P.R. n.633/1972, è obbligatoria in quanto le cessioni verso l’estero sono territorialmente rilevanti in Italia ai sensi del citato art. 7-bis del D.P.R. n. 633/1972. Infatti, è dall’Italia che i beni partono a destinazione dei clienti di altro Paese UE o extra-UE, per cui la fatturazione e gli ulteriori obblighi “formali” (es. dichiarazione IVA annuale e comunicazione annuale dati IVA) vanno adempiuti secondo le regole previste dalla nostra legislazione.

L’impresa non residente, anche nominando il rappresentante fiscale, si ritrova in una posizione di credito IVA nei confronti dell’Erario italiano in ragione del fatto che l’imposta assolta sugli acquisti non può essere scomputata dall’imposta dovuta sulle cessioni, soggette a reverse charge o al regime di non imponibilità.

Se le cessioni non imponibili registrate nell’anno precedente sono superiori al 20% del volume d’affari realizzato in Italia può essere opportuno che il rappresentante fiscale operi in veste di esportatore abituale, acquistando dai fornitori nazionali senza IVA ex art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972.

Tale possibilità, in un primo tempo non ammessa – per i soggetti non residenti – dalla C.M. 8 novembre 1973, n. 70/502886, è stata successivamente riconosciuta dalla R.M. 21 giugno 1999, n. 102/E e ribadita, da ultimo, dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 4 agosto 2011, n. 80.

È vero, infatti, che l’art.8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 limita la qualifica di esportatore abituale ai soggetti “residenti”; tuttavia, tale riferimento deve essere interpretato nel più ampio contesto della normativa IVA, tant’è che l’art.17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, anche a seguito della riformulazione operata dal D.Lgs. n.18/2010, attribuisce al rappresentante fiscale non solo l’adempimento degli obblighi derivanti dall’applicazione dell’IVA, ma anche l’esercizio dei relativi diritti, tra i quali è certamente compresa la facoltà di acquistare beni o servizi senza imposta con l’utilizzo (e nei limiti) del plafond.

In definitiva, anziché recuperare l’imposta “a credito” in sede di dichiarazione annuale o con il modello TR – possibilità concessa dall’art. 30, comma 3, lett.e), del D.P.R. n. 633/1972 per il rimborso annuale e dall’art.38-bis, comma 2, dello stesso decreto per quello trimestrale – si può evitare tout court l’addebito del tributo assumendo lo status di esportatore abituale.