9 Marzo 2015

Il professionista di mamma e papà

di Michele D’Agnolo
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Finora i professionisti italiani sono stati scelti dai clienti prevalentemente per l’intuitus personae, cioè per il motivo in base al quale più o meno magicamente si è creato un rapporto di empatia umana e di fiducia professionale tale da creare una relazione duratura tra il professionista e il cliente. Quando indichiamo il professionista al quale ci rivolgiamo con assiduità, comunemente parliamo del nostro dentista, del nostro avvocato, del nostro commercialista. Spesso accompagniamo l’aggettivo possessivo con la locuzione “di famiglia“, a significare un legame ancora più profondo.

Spesso si è partiti, in Italia, dall’amicizia o dalla conoscenza personale per arrivare al rapporto professionale. Dopotutto, la nostra è un economia del convivio. Altre volte il rapporto parte professionale, ma quasi sempre sulla base della segnalazione di amici o clienti soddisfatti.

 

Questo ha reso fino ad oggi molto importante per ogni professionista profondersi in una adeguata dose di presenzialismo. Occorreva e non guasta neppure oggi coltivare una serie di pubbliche relazioni per farsi conoscere innanzitutto per le proprie caratteristiche personali, che poi vengono rinforzate dai contenuti tecnici della prestazione.

E quindi ognuno di noi si è adoperato per diventare socio della boccioflia piuttosto che di qualche altro variegato consesso, offrendosi di farne il tesoriere, risanando pro bono i conti e confidando di venire in contatto con persone che avrebbero potuto apprezzare il nostro modo di essere e la nostra personalità prima ancora che il nostro savoir faire professionale.

Queste modalità di approccio, queste regole di ingaggio, sembrano oggi piuttosto antiquate, e decisamente da sostituire, soprattutto per tutta una generazione di giovani nativi digitali, che sono abituati a cercare le cose di cui hanno bisogno non pensando di rivolgersi ad un amico ma scandagliando la rete delle reti con uno o più strumenti automatici e di ricerca. Trovando quasi sempre quello che cercano subito e gratis. Purtroppo, senza guardare in faccia nessuno.

E, tuttavia, che anche il rapporto dei baby boomers con la ricerca di beni e servizi da acquistare profondamente mutato lo vediamo quando prenotiamo le vacanze, i viaggi in genere. Fino a qualche anno fa ci si rivolgeva all’hotel di fiducia, non si consultavano neppure altre fonti. Oppure ci si recava presso un agente di viaggi, anch’esso amico di lunga data, che si adoperava anno dopo anno e viaggio dopo viaggio per trovare la soluzione più adatta per noi, personalizzandola. Un viaggio comportava due o tre colloqui presso l’agenzia e qualche settimana di tempo per definirlo. L’agente spesso aveva visitato i luoghi e ne conosceva pregi e difetti.

Oggi, andando sul web possiamo vedere per ogni hotel in tempo reale le foto delle stanze, il menù della cucina. Possiamo esplorare le mappe interattive per scoprire se ci hanno nascosto che in realtà l’hotel è dietro una discarica. Possiamo confrontare per lo stesso hotel decine di offerte i cui prezzi sono continuamente cangianti e che dipendono dal giorno e l’ora in cui abbiamo prenotato, dal potere contrattuale dell’intermediario elettronico, e da una serie di altre oscure variabili che ci fanno arrabbiare e appassionano gli antitrust di mezzo mondo.

E l’agente spesso vede solo le stesse informazioni che abbiamo noi, o forse addirittura ne sappiamo più noi di lui sull’hotel che vorremmo scegliere, perché abbiamo avuto il tempo di studiarlo.

Possiamo, infatti, visitare i siti che contengono decine di recensioni scritte da ospiti della struttura, che ci raccontano se il cameriere aveva l’ascella sudata o se il risotto con i funghi era immangiabile, o se per avere le blatte in camera hanno richiesto un supplemento.

Non possiamo escludere che una simile situazione possa estendersi nel giro di qualche anno anche alle attività professionali. Stanno, infatti, iniziando a comparire siti web che si propongono di valutare i professionisti attraverso le recensioni dei loro clienti.

Forse non è troppo irriverente citare Giulio Andreotti, che diceva che è bene porre in luce le varie questioni ma che a gettare troppa luce si rischia di rimanere accecati.

Ve lo immaginate cosa accadrebbe se i nostri clienti esprimessero le loro candide opinioni sulla preparazione e la cortesia, la puntualità e la disponibilità nostre e dei nostri addetti, citando casi risolti brillantemente ma anche le nostre non poche penose e imbarazzanti defaillances, mettendole sulla pubblica piazza?

Nel mondo del web è possibile trovare l’hotel macrobiotico, quello con vista sullo stadio, quello che include chissà quali trattamenti o pacchetti. In altre parole, è possibile valorizzare le specializzazioni, anche quelle più spinte e di nicchia e offrirle al mondo intero.

E allora capiamo bene l’insofferenza del giovane rampollo della casata imprenditoriale quando mamma o papà gli impongono il solito consulente, non fosse altro per quello, o magari anche solo per il differenziale di età . Ma, soprattutto, i nostri eredi al trono si chiedono perché dovrei remunerarlo, magari a consuntivo orario per fare una cosa che altri fanno meglio perché lo hanno già fatto, e ad un minore prezzo. Prima di tutto perché i suoi amici sono altri. Ne ha almeno una dozzina, della sua età, che hanno fatto l’università assieme, e che si occupano genericamente della materia. E parlano il suo linguaggio, usano i suoi strumenti. Chattano istantaneamente alle due di notte invece di inviare il pomeriggio successivo lunghissimi pareri. E poi, i nostri principi ereditari si chiedono “Perché non posso scegliere il commercialista dell’operazione straordinaria o l’avvocato per la causa in Gran Bretagna smanettando sul web e capendo in pochi minuti chi è il migliore, il più competente, referenziato e al migliore costo, e devo invece finanziare i soliti noti, che da bravi tuttologi dovranno reinventare la ruota, mi faranno aspettare un sacco di tempo e mi fattureranno tutta la loro ignoranza e inefficienza? E magari trovo una risposta low cost o gratuita direttamente in uno dei milioni di blog e di gruppi social che parlano di un dato argomento. O magari navigando in pausa pranzo scopro che il nostro professionista di famiglia ha qualche scheletro nell’armadio”.

Pensate che oggi perfino le trattorie per camionisti si preoccupano della loro web e social reputation. Una volta i nostri tatuati e corpulenti conducenti si passavano voce col cb o si messaggiavano con i fari e le frecce dei loro autoarticolati, o piu semplicemente – come i lemming – parcheggiavano davanti al locale col maggior numero di mezzi. Mentre oggi tutti i camionisti frequentano il web, talvolta purtroppo anche durante la guida. E quindi siamo obbligati da tutta questa trasparenza ad una attenzione maniacale al servizio perché se siamo scortesi o il riso è scotto, ci infamano su tripadvisor e non viene più nessuno. Per settimane, mesi, o per sempre.

I siti di prenotazione online di viaggi e soggiorni sono ormai così potenti che domandano fees che a volte sfiorano il 30 per cento del valore della stanza, ma ti riempiono l’hotel. Chissà quanto dovremo pagare per farci segnalare in prima pagina dai siti che un giorno non lontano valuteranno i professionisti. E chissà se ne varrà la pena. E come ci difenderemo dalle false recensioni. Chissà se le leggeranno anche i nostri consigli di disciplina.

Allo stesso tempo, i ristoratori e albergatori si danno un gran daffare a chiedere a chi si è trovato bene di parlarne, altrimenti nel mondo virtuale risultiamo assenti e dunque inesistenti. Elicitano il passaparola positivo reale e virtuale molto di più e meglio di noi.

E quindi, anche se non ci interessa spingere la nostra immagine nel mondo virtuale, è indispensabile oggi sapere cosa si dice di noi in rete e governarlo. Anzi, cosa si scrive. Verba volant, scripta manent. Con tanti saluti al professionista di mamma e papà. Con un irriverente emoticon, inviato a mezzo whatsapp, naturalmente.