23 Maggio 2023

Il mancato accordo in sede di contraddittorio non vuol dire rinuncia all’istanza di adesione

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 6, comma 3, D.Lgs. 218/1997, per consentire all’Ufficio ed al contribuente di valutare con la dovuta attenzione il contenuto dell’atto di accertamento cui l’istanza di adesione si riferisce, ha previsto una sospensione di 90 giorni dei termini per ricorrere, decorrenti dalla data di presentazione dell’istanza da parte del contribuente (nel caso di spedizione via posta, il termine di sospensione decorre dalla data certa di spedizione).

Naturalmente, la sospensione investe l’istanza post accertamento, ex articolo 6, comma 2, D.Lgs. 218/1997.

Diversamente, nell’ipotesi di cui all’articolo 5, ovvero di cui all’articolo 6, comma 1, D.Lgs. 218/1997, tenuto conto che nel primo caso si è in presenza di un mero invito mentre nel secondo caso l’istanza è rivolta avverso il processo verbale di constatazione – atto meramente istruttorio e non autonomamente impugnabile – è logico che non discenda alcuna sospensione dei termini per l’impugnazione, né si colleghino ulteriori effetti o benefici (cfr. Corte di Cassazione, n. 13172/2019).

Resta fermo che – ordinanza della Corte di Cassazione n. 21148 del 24.08.2018 – la sospensione del termine di impugnazione dell’atto impositivo non è interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo con l’Amministrazione finanziaria, poiché solo l’univoca manifestazione di volontà del contribuente può “escludere irrimediabilmente tale soluzione compositiva, attraverso la proposizione di ricorso avverso l’atto di accertamento, oppure con formale ed irrevocabile rinuncia all’istanza di definizione con adesione, facendo perciò venir meno la sospensione del temine di impugnazione. (Cass. 17439/2012, 3762/2012, 2857/2013)”.

Gli stessi giudici di piazza Cavour – sentenza n. 27274 del 24.10.2019 – hanno ritenuto che, una volta presentata l’istanza di accertamento con adesione, ex articolo 6, comma 2, D.Lgs. 218/1997, la mancata comparizione del contribuente alla data fissata dall’Ufficio per la definizione in via amministrativa della controversia, sia essa giustificata o meno, non ha alcuna rilevanza: la stessa non è idonea ad interrompere il periodo di sospensione perché non equiparabile ad una vera e propria rinuncia all’istanza per adesione, nè fa venire meno ab origine gli effetti dell’istanza medesima e, quindi, la sospensione dei termini per l’impugnazione dell’avviso di accertamento.

La sintesi giurisprudenziale della questione è ben condensata nella sentenza della Corte di Cassazione n. 29183 del 12.11.2019, che richiama una serie di precedenti pronunciamenti, fra cui l’ordinanza n. 32118/2018, dove gli Ermellini hanno ribadito che “la presentazione da parte del contribuente dell’istanza di accertamento con adesione comporta solo la sospensione per giorni novanta del termine per l’impugnazione dell’accertamento dalla data di presentazione dell’istanza, senza che tale sospensione sia collegata alla effettiva conclusione della procedura nel termine, (art.6, comma 3, d. Lgs. n.218/1997); …..decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, quest’ultimo, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo (cfr. Cass. n. 28051/2009)”.

Ancora, in sede di legittimità, è stato affermato che:

  • la sospensione dei termini per novanta giorni opera sempre, salva solo l’irrevocabile e chiara rinuncia del contribuente a tale richiesta (Corte di Cassazione, ordinanza n. 22185 del 13.07.2022);
  • il mancato rispetto dei termini per impugnare l’atto impositivo non può ritenersi giustificato dall’affidamento riposto nella condotta dell’Amministrazione finanziaria di essere ancora convocato dall’Ufficio per l’adesione, atteso che la presentazione dell’istanza comporta esclusivamente la sterilizzazione per novanta giorni dei termini per impugnare, né – una volta scaduti tali termini – è possibile giocarsi la carta della rimessione in termini (Corte di Cassazione, sentenza n. 10272 del 31.03.2022).

E in questi giorni, gli Ermellini hanno fatto sentire la loro voce, con l’ordinanza n. 8504 del 24.03.2023: “il verbale di constatazione del mancato accordo non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione, sicché alla stessa non può riconoscersi il valore di atto idoneo all’interruzione del termine di sospensione di novanta giorni, previsto dal D.Lgs. n. 218 del 1997, artt. 6 e 12 connesso alla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione” in conformità a quanto rilevato dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 140/2011, che aveva ritenuto inammissibile la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. n. 218/1997, “nella parte in cui non prevede che la formalizzazione del mancato raggiungimento dell’accordo comporti la rinuncia all’istanza di accertamento con adesione“.

Nel caso di specie, osservano i massimi giudici, anche a voler ritenere che il verbale contenesse il rigetto dell’istanza di accertamento con adesione, non prevista dalla normativa citata, trattandosi di una procedura che o si conclude per il raggiungimento dell’accordo o per il mancato raggiungimento dell’accordo, il verbale in cui si dà atto del mancato raggiungimento dell’accordo – equivalente al rigetto dell’istanza – non può essere qualificato come rinuncia all’istanza, “che richiede una manifestazione univoca di volontà in tal senso, affinchè possa operare sin dalla chiusura del verbale di mancato accordo la ripresa del termine D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 21, per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale”.