19 Luglio 2014

Il lavoro autonomo occasionale all’estero

di Fabio Pauselli
Scarica in PDF

Negli ultimi tempi stiamo assistendo a maggiori opportunità lavorative all’estero anche per ciò che concerne il lavoro meramente occasionale e senza alcun vincolo di subordinazione. Ciò è dovuto sia alla capillare diffusione di nuovi business on-line sia alle maggiori opportunità offerte oltreconfine.

Come noto l’art. 3, c. 1, del Tuir sancisce il principio di tassazione su base mondiale, secondo il quale le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia sono ivi tassate sui redditi ovunque prodotti. Così anche chi svolge un’attività di lavoro autonomo occasionale all’estero senza partita Iva, dovrà dichiarare tali redditi e soggiacere alla potestà impositiva del nostro Paese. I redditi derivanti da attività di lavoro non esercitate abitualmente sono ricompresi tra i redditi diversi ex art. 67, c. 1, lettera l) del Tuir, la cui determinazione è data, ai sensi dell’art. 71, c. 2 del Tuir, dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificatamente inerenti alla loro produzione. Inoltre, nel caso in cui il compenso percepito corrisponda alle spese strettamente necessarie per lo svolgimento dell’attività occasionale, l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 49/E/2013 ha previsto la possibilità di non dichiarare tali somme nella dichiarazione dei redditi.

Detto ciò è bene precisare che la potestà impositiva del nostro Paese trova un inevitabile limite nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni che vengono stipulate con gli altri paesi esteri e le quali trovano applicazione anche per la fattispecie reddituale in esame. C’è da dire, tuttavia, che generalmente le suddette Convenzioni prevedono, nel paragrafo relativo alle professioni indipendenti, la tassazione degli introiti esclusivamente nello Stato di residenza del soggetto percettore, a meno che non si disponga di una base d’affari nel paese estero (ipotesi, questa, del tutto inconciliabile con un’attività meramente occasionale).

Altro aspetto rilevante è l’applicazione della ritenuta alla fonte ex art. 25, c. 1, D.P.R. 600/73, considerato che l’art. 23, c. 1 del medesimo decreto sancisce che anche i soggetti di diritto estero e non residenti in Italia possono agire da sostituti d’imposta e, quindi, essere obbligati ad effettuare la ritenuta a titolo di acconto. L’Amministrazione finanziaria, tuttavia, ha avuto modo di precisare con la Risoluzione n. 649/1980 che l’ente estero deputato a ciò è soltanto quello tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi nel nostro Paese, esonerando tutti gli altri.

Per quanto riguarda gli aspetti contributivi è qui che emergono le maggiori criticità. Come noto, infatti, per i compensi occasionali superiori a Euro 5.000 scatta l’obbligo d’iscrizione alla Gestione Separata ex art. 44, c. 2 del D.L. 269/03. In questi casi, al superamento della soglia limite, è il committente ad operare tutte le ritenute previdenziali del caso e versarle alla sede Inps di competenza. Pertanto in tutti quei casi in cui il committente estero non è sostituto d’imposta in Italia, cosa fare? Nel silenzio della norma, chi scrive ritiene che in presenza di redditi occasionali erogati da un committente estero privo dei requisiti per qualificarsi quale sostituto d’imposta in Italia dovrà essere il percipiente residente a dover auto-liquidare il dovuto in sede di dichiarazione dei redditi. In particolare il calcolo e la liquidazione del contributo dovuto alla Gestione Separata dovrà essere effettuato nell’apposita sezione RR del modello Unico, compilando attentamente i relativi quadri (Circolare Inps n. 74/2014).