4 Luglio 2025

Il giudice di Reggio Emilia intenta la razionalizzazione dell’IRAP

di Luciano Sorgato
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Reggio Emilia, con la sentenza n 113/2025, non ha condiviso il noto indirizzo di prassi dell’Agenzia delle Entrate (circolare n. 4/E/2022) per il quale: «il riferimento alle persone fisiche esercenti arti e professioni implica che resti assoggettato ad Irap l’esercizio di arti e professioni in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’art. 5 del TUIR». Tale lettura è fondata su quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’attività delle associazioni, senza personalità giuridica, costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, in quanto equiparate alle società semplici, ex art. 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 446/1997, costituirebbe sempre presupposto di imposta, in forza della presunzione assoluta, di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997l’attività esercitata dalle società … costituisce in ogni caso presupposto di imposta»). Tuttavia, per il giudice di Reggio Emilia le disposizioni normative citate, così interpretate, rivelano significativi profili di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 53, Costituzione.

Il giudice di Reggio Emilia intenta di riproporre la razionalizzazione del presupposto dell’IRAP, ostruita dal consolidato orientamento della Corte di cassazione che, anche di recente (ordinanza n. 492/2024), ha ribadito il principio giurisprudenziale secondo cui «con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 15/09/1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quanto il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».

La sentenza della CGT di I grado di Reggio Emilia potrebbe rappresentare un primo passo verso un più ampio recupero delle autentiche regole giuridiche alla base del presupposto dell’IRAP. Chi scrive ritiene, da sempre, che, per rispetto del diritto, la ricongiunzione del presupposto dell’IRAP ai suoi più autentici fondamenti causali, anche a distanza di anni dalla sua introduzione, è opera ermeneutica che rimane doverosa, che non dovrebbe venire ostacolata (come sinora è avvenuto) dall’ammontare del gettito fiscale che essa deve procurare in termini compensativi con le remote imposte e tasse di cui ha determinato l’abrogazione. La delineazione strutturale di un qualsiasi tributo si raccorda con nesso oggettivo a una precisa intersezione di fattori sui quali è caduta la scelta del Legislatore, in coordinamento con i principi costituzionali che vigilano sull’opzione di legge, che non deve mai rappresentarsi come irragionevole e che presidiano l’obbligazione tributaria sul piano dell’an e del quantum.

In tema di IRAP, si è parlato, sin dall’origine, di una manifestazione di capacità contributiva spersonalizzata, idonea a giustificare il prelievo impositivo, ossia il bisogno che l’entità idonea a manifestare l’attitudine contributiva si renda estranea dallo status soggettivo del lavoratore autonomo individuale o collettivo, altrimenti la capacità contributiva sarebbe tornata a riappropriarsi di valori personalistici inidonei a ricongiungersi teleologicamente ad una prestazione patrimoniale, che presenta manifeste connotazioni di imposta reale. Ritenere, quindi, che il lavoratore autonomo possa riassumere la titolarità di una posizione di supremazia su un’entità non idonea a generare in autonomia il risultato produttivo, rimanendo in ogni caso indispensabile il suo concorso personale, corrisponde ad una connotazione irrazionale del presupposto oggettivo dell’IRAP.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156/2001, ha affermato, per la prima volta, che l’art. 53, Costituzione, non preclude al Legislatore l’individuazione di indici atipici di capacità contributiva (ossia diversi dal reddito, dal consumo e dal patrimonio) che siano, comunque, identificativi di “nuova ricchezza”, salvo il limite della arbitrarietà delle scelte. L’IRAP non viola i principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, proprio perché basata, secondo gli insegnamenti della Consulta, su un fatto espressivo di nuova ricchezza, costituito dal valore della produzione netta «… creata dalla singola unità produttiva …» (l’attività autonomamente organizzata) ed «assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita, al fine di remunerare i diversi fattori della produzione …», (il capitale di debito, il capitale di credito, l’attività lavorativa dell’imprenditore e il lavoro altrui). Per la Corte costituzionale, che ha prestato aderenza concettuale alla corrente dottrinaria che ha teorizzato il fondamento e la legalità costituzionale dell’IRAP: «L’imposta colpisce … con carattere di realità, un fatto economico diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità contributiva in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i vari soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione». La corretta ermeneutica dell’art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, relativa al presupposto oggettivo dell’IRAP, non poteva, quindi, prescindere dall’inquadramento di tributo reale come prospettato dalla Corte costituzionale.

Per il citato art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, come noto, il presupposto impositivo dell’IRAP viene definito come l’attività esercitata con:

  1. abitualità;
  2. in modo autonomamente organizzato;
  3. diretta alla produzione o allo scambio di beni e servizi.

Il corretto inquadramento della “autonoma organizzazione”, ai fini della configurazione dell’IRAP, alla stregua di un tributo reale, assume un ruolo centrale, dipendendo da tale presupposto la considerazione dell’IRAP come imposta reale e non personale. Aver ritenuto che, come prerogativa del presupposto dell’IRAP non fosse imprescindibile un autentico modello organizzato di fattori produttivi, ma fosse sufficiente la c.d. auto-organizzazione, ossia lo svolgimento della propria attività lavorativa con totale assenza di organizzazione altrui, ha concorso a definire una configurazione di tributo del tutto astratta, inidonea ad incidere su un’entità reale (diversa dal consumo, dal patrimonio e dal reddito) da identificare (come rappresentato da F. Gallo, “Ratio e struttura dell’irap”, in Rass. Trib., n. 3/1998) con l’idoneità economico-produttiva espressa dal coordinamento, organizzazione e disponibilità dei fattori della produzione. Sin dall’introduzione dell’IRAP, si è sottolineato come per il c.d. lavoratore autonomo con a supporto una dotazione patrimoniale non organizzata, il nesso costituzionale dell’IRAP si sarebbe venuto a fondare sulla titolarità di una signoria diretta a sé stesso, su un atto potestativo indirizzato alla propria persona.

Nel rapporto della c.d. Commissione Gallo (“Proposte per la realizzazione del federalismo fiscale”, Ministero delle finanze, 1996, pag. 93 ss.), la cui importanza deriva dalla rilevanza di rinvenire in essa un fonte interpretativa storica, emergeva con chiarezza l’identificazione del presupposto impositivo con l’attività abbinata a «fatti e situazioni concretamente espressivi di potenzialità economica identificabili nei singoli fattori della produzione», mentre il soggetto passivo è colui che è titolare di una signoria potestativa sull’organizzazione produttiva. La titolarità di una tale posizione di supremazia doveva vertere su un modello organizzato di fattori produttivi, i cui ruoli sinergici venivano esaltati dall’efficiente complementarità di condizione operativa decisa dal lavoratore autonomo (professionista/imprenditore). Solo se la manifestazione di capacità contributiva veniva ad incentrarsi su una tale configurazione di entità, avrebbe potuto venirsi a definire un’alterità tra dominus e situazione dominata ed una situazione di forza economica spersonalizzata. In caso contrario, l’attitudine contributiva rimane influenzata dell’impronta personalistica e l’IRAP, come evidenziato in dottrina (G. Porcaro, “Prime esperienze giurisprudenziali su irap e attività prive di organizzazione”, in Rass. Trib., n. 1/2002) si risolve in un’addizionale sui redditi del tutto estranea alla logica giuridica ed economica del tributo. Sempre dal rapporto della Commissione Gallo, emergeva chiaramente la volontà di tassare non già la “funzione organizzativa del gestore” (ossia il lavoro dell’imprenditore, fattore remunerato dal profitto), ma l’attività organizzata (il business), intesa, come peraltro ben evidenziato anche in dottrina (C. Sallustio, “Il rimborso dell’irap ai lavoratori autonomi: questioni controverse ed ipotesi interpretative”, in Rass. Trib., n. 4/2002) come realtà complessa, frutto dei poteri di scelta, combinazione e coordinamento di più fattori produttivi. I fattori produttivi non si immedesimano con immediatezza con l’attività organizzata, costituiscono solo gli indici rivelatori della sua esistenza e della sua potenziale forza economica-produttiva, la quale sola può riassumere i valori impositivi dell’IRAP.

In conclusione, si sottolineava come una capacità contributiva spersonalizzata potesse causalmente ricongiungersi solo alla c.d. organizzazione intermediatrice dell’impresa, in quanto solo quest’ultima esprimeva idoneità a identificare un’entità capace di una forza economica distinta dal soggetto che la dirige e capace di catalizzare autonomi valori imponibili. Con la sentenza del giudice di Reggio Emilia, il diritto si è ripreso un suo piccolo spazio e ripristinata una sua timida autorevolezza. Ma la sensazione è che sia una episodica fuga in avanti, che la Cassazione ostruirà per la necessaria venerazione che in Italia deve essere salvaguardata verso il gettito erariale.