13 Maggio 2020

Il credito di imposta a fronte di tributi ibridi

di Ennio Vial
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La scheda di FISCOPRATICO

La risposta all’istanza di interpello n. 100 del 2 aprile 2020 affronta un interessante caso di un soggetto italiano che ha una stabile organizzazione in un Paese estero.

L’interpello non ha ovviamente ad oggetto la questione dell’analisi fattuale circa la sussistenza o meno della stabile organizzazione ma, sul presupposto che questa esista, si chiedono ragguagli in merito alla scomputabilità della “foreing contractor tax– FCT” subita dalla stabile estera.

I profili di incertezza discendono dal fatto che detto tributo è un’imposta applicabile alle società e agli enti non residenti che svolgono una attività d’impresa o producono un reddito nel territorio dello Stato Ospitante in qualità di Foreing contractors.

L’imposta in esame, introdotta nel 1995, è stata riformata a partire dal 2014 e si compone di due parti:

  • una parte che rappresenta un’imposta sui redditi societari;
  • una parte relativa all’imposta sul valore aggiunto.

Dalla risposta all’interpello si apprende che il pagamento del tributo avviene mediante una ritenuta operata dal soggetto residente prima dell’effettuazione del pagamento nei confronti della controparte straniera, nel nostro caso italiana.

Si apprende inoltre che vi è anche modo di determinare, in modo puntuale, la componente relativa alle imposte sui redditi e la componente relativa all’Iva.

L’Agenzia delle Entrate osserva come la foreing contractor tax” non sia prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e il Paese estero, Convenzione che al contrario, menziona la profit tax.

Tuttavia, viene riconosciuto come il paragrafo 4 dell’articolo 2 della Convenzione (la risposta all’interpello fa erroneamente riferimento all’articolo 3), prevede che la convenzione possa essere applicata anche a imposte che sono state introdotte successivamente e che hanno caratteristiche analoghe.

L’Agenzia afferma pertanto che si rende necessario valutare la scomputabilità di un credito di imposta anche a fronte di questo tributo in base alle regole contenute nella disciplina domestica (articolo 165 Tuir).

L’Agenzia poi propone tutto il percorso logico per valutare la scomputabilità di questo credito. Viene, infatti, verificato che il reddito sia stato prodotto all’estero, che lo stesso concorra alla formazione del reddito complessivo e che il pagamento delle imposte estere sia avvenuto a titolo definitivo.

Viene poi ricordato come, nel paragrafo 2.3 della circolare 9/E/2015, il credito di imposta è limitato ai tributi stranieri “che si sostanziano in una imposta sul reddito o, quantomeno, in tributi con natura similare”.

L’Ufficio ritiene che la componente della “foreing contractor tax relativa alle imposte sui redditi si configuri come una prestazione patrimoniale coattiva, prelevata in ragione del possesso di un reddito.

Tale circostanza permette di assimilare tale componente ad un’imposta sui redditi e quindi di ammetterne la scomputabilità alle condizioni dell’articolo 165 Tuir.

In linea di massima, le conclusioni dell’Agenzia sono condivisibili in quanto, se da un lato non è pensabile di scomputare come credito un prelievo relativo all’Iva, dall’altro la scomputabilità della componente relativa alle imposte sui redditi appare fuori discussione.

In tal senso, infatti, depone non solo la circolare 9/E/2015, opportunamente citata dall’Ufficio, ma altresì le successive previsioni dell’articolo 15, comma 2, D.Lgs. 147/2015, norma di interpretazione autentica, secondo cui “sono ammesse in detrazione sia le imposte estere oggetto di una convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e lo Stato estero in cui il reddito che concorre alla formazione dell’imponibile è prodotto sia le altre imposte o gli altri tributi esteri sul reddito.

La tesi dell’Agenzia peraltro, non è nuova in quanto ad analoghe conclusioni si era già giunti con la risoluzione 7 marzo 2008, n. 83 dove si affronta il caso di una imposta sostitutiva tunisina non solo delle imposte dirette ma anche di quelle indirette e dei diritti doganali.

Anche in quest’altro caso il requisito della similarità è stato riconosciuto solo parzialmente. In quel caso era stata segnalata la necessità di ricostruire il carico fiscale complessivo (imposte dirette, indirette e dazi doganali) che l’impresa italiana avrebbe scontato in Tunisia al fine di determinare l’incidenza dell’imposta sui redditi sul carico teorico complessivo.

Dalla lettura dei due interventi di prassi si coglie come, mentre nell’imposta forfettaria della risposta all’istanza di interpello n. 100/2020 esistono dei criteri per determinare la quota parte “Iva” e la quota parte “relativa ai redditi”, nel caso della risoluzione 83/E/2008, invece, non essendo possibile questo conteggio, la quota dei vari tributi che compongono il prelievo forfettario viene determinata calcolando l’incidenza teorica dei vari tributi ordinariamente applicabili senza forfettizzazione, sul prelievo complessivo di detti tributi teoricamente calcolati sempre senza forfetizzazione.

Un ulteriore aspetto di interesse di questo intervento di prassi è rappresentato dalla visione dell’Agenzia secondo cui per calcolare il credito di imposta, pur in presenza di una Convenzione, bisogna sempre far riferimento all’articolo 165.

Si tratta di una presa di posizione che meriterebbe ulteriori approfondimenti e che comunque non è nuova, in quanto ha già fatto capolino nella risoluzione 1 giugno 2005 n. 69/E, dove si esaminava la questione del credito di imposta di una stabile organizzazione romena di una impresa italiana.