13 Giugno 2014

Il contribuente può produrre in giudizio i documenti non presentati in sede amministrativa

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7978 del 04/04/2014 ribadisce in materia di ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente l’obbligo per l’Ufficio di dimostrare la corretta sequenza procedimentale anche in ipotesi di accertamenti scaturiti da attività di controllo svolta mediante l’invio di questionari al contribuente ai sensi dell’articolo 32, comma 4, del D.P.R. 600/1973.

La questione sottoposta alla Suprema Corte ha avuto ad oggetto l’impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate di una sentenza di appello favorevole ad una società contribuente che, a seguito di richiesta avanzata ai sensi dell’articolo 30, comma 3, lett. c) del D.P.R. 633/1972 aveva ottenuto un rimborso per l’acquisto di beni ammortizzabili.

La società, invitata dall’Agenzia delle entrate ad esibire la documentazione probatoria, non vi aveva dato alcun riscontro; a seguito di tale inerzia l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione con avviso di accertamento, ai fini IVA, il credito esposto in dichiarazione.

La società contribuente ha proposto ricorso avverso tale atto, rigettato dalla Commissione tributaria provinciale; l’appello della contribuente è stato invece accolto dalla Commissione tributaria regionale di Bari.

Il Giudice di seconde cure ha riconosciuto il diritto al rimborso, ritenendo determinante la circostanza che la società fosse stata sottoposta a verifica dall’Ufficio finanziario nel 2002 con riferimento alle richieste di rimborso avanzate per i primi tre trimestri del 2001, superando positivamente il vaglio di regolarità della contabilità; da ciò ha dedotto che, in sede di tale verifica, l’Ufficio aveva potuto controllare tutta la contabilità del 2001 e che quindi era in possesso di tutti gli elementi per valutare la legittimità del rimborso richiesto con riferimento all’ultimo trimestre.

Con il ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate censurava la sentenza di appello per non avere il giudice del secondo grado riconosciuto la tardività della produzione dei documenti da parte della società che aveva provveduto all’esibizione della documentazione legittimante il suddetto rimborso solamente in corso di giudizio, con conseguente operatività della decadenza prevista dall’articolo 32, commi 3 e 4, del D.P.R. 633/1972, in assenza di qualunque giustificazione in ordine al mancato adempimento.

La Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che “non risulta in alcun modo che vi sia stato l’avvertimento al contribuente, nè quali documenti siano stati richiesti” della preclusione di cui al citato articolo 32, risolve la questione rigettando il ricorso promosso dall’Agenzia delle entrate affermando il seguente principio di diritto: “nell’esercizio della potestà di accertamento, è necessario che l’Amministrazione, con l’invio del questionario, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse, senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell‘inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario”.

La pronuncia ribadisce un principio già condiviso dalla giurisprudenza di legittimità con i precedenti di cui alle sentenze n. 22126 del 2013 e n. 453 del 2013 in cui la Corte di Cassazione aveva avuto modo di affermare che spetta al fisco, che oppone alla successiva allegazione giudiziale delle fatture la preclusione di cui all’articolo 32, allegare e dimostrare il rispetto in favore del contribuente degli obblighi di informativa, espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare – come si evince dagli articoli 6 e 10 dello Statuto del contribuente – l’azione dell’Ufficio.

Si aggiunge per completezza che, nella fattispecie all’esame della Corte di Cassazione, i giudici hanno, altresì, rilevato come l’Amministrazione finanziaria nel corso dei giudizi di merito non abbia mai contestato che il contenuto dei documenti prodotti dalla società contribuente non fosse fiscalmente rilevante e rispondente ai requisiti formali di legge, né tantomeno la veridicità e l’attendibilità dei dati forniti, e dunque la loro sostanziale aderenza alla realtà dei fenomeni economici che esprimono, il che rileva – a favore della parte contribuente – secondo canoni di unicità e organicità del sistema contabile d’impresa e per il principio di effettività del soddisfacimento degli obblighi fiscali sostanziali.