16 Giugno 2014

Il contratto di cointeressenza agli utili

di Fabio Landuzzi
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L’ordinamento civilistico contiene all’art. 2554, Cod. Civ., la disciplina di uno strumento contrattuale che, malgrado sia poco utilizzato nella prassi professionale ed aziendale, può talvolta presentare motivi di interesse meritevoli di attenzione. Si tratta del contratto di “cointeressenza” il quale può assumere essenzialmente due forme:

  1. Nella forma della cd. “cointeressenza impropria” un soggetto viene fatto partecipare agli utili di un’impresa, senza partecipazione alle perdite ed in contropartita di un apporto all’impresa cointeressante.
  2. Nella forma della cd. “cointeressenza propria”, invece, un soggetto viene fatto partecipare sia agli utili che alle perdite di un’impresa, senza che vi sia il corrispettivo di alcun apporto.

Ciò che distingue profondamente le due fattispecie è la partecipazione del cointeressato anche alle eventuali perdite dell’impresa cointeressante, che contraddistingue il caso della “cointeressenza propria”, e la mancanza di un apporto del cointeressato a beneficio dell’impresa cointeressante, che caratterizza sempre il caso della “cointeressenza propria”.

Si tratta di accordi che presentano un duplice profilo di interesse: da una parte, si prestano a fungere da modelli di condivisione delle attività e dei risultati delle imprese senza tuttavia pregiudicare in alcun modo la rispettiva autonomia giuridica e contabile consentendo così di evitare le rigidità che si accompagnano normalmente alla creazione di una nuova entità legale comune; dall’altra parte, presentano anche un contenuto para-assicurativo nella misura in cui consentono all’impresa di ridurre, al verificarsi di eventi negativi, l’ammontare delle perdite di gestione a proprio carico, mediante la compartecipazione di un soggetto terzo (il cointeressato). Una parte della dottrina ha osservato come l’uso di questi contratti si presti ad assimilazioni con gli strumenti negoziali atipici di gestione del cd. “management risk”.

Dal punto di vista aziendalistico, questo tipo di accordi è interessante anche per la flessibilità che li caratterizza. Ad esempio, l’accordo potrebbe avere carattere di reciprocità come avviene nel caso dei contratti di cd. “cointeressenza propria” in forma “complessa”; in essi, entrambe le imprese partecipanti all’accordo assumono reciprocamente l’una rispetto all’altra tanto la veste di cointeressante quanto quella di cointeressata. In questo modo, si realizza una reciproca compartecipazione agli utili ed alle perdite delle imprese partecipanti in una chiave di reciproca assistenza e di condivisione dei risultati.

In fase di negoziazione e di stesura del contratto, le parti potranno quindi delimitare la nozione di “attività”, di “affare” e di “utile” che costituirà oggetto della reciproca condivisione, nonché gli strumenti di controllo spettanti a ciascun partecipante.

Dal punto di vista contabile, e riguardo alla classificazione dei componenti economici (costi e/o ricavi) della cointeressenza nel bilancio delle imprese partecipanti, il Documento OIC 12 – attualmente in pubblica consultazione – prevede che gli “utili da associazioni in partecipazione e da cointeressenze” siano classificati alla voce C.16.d) del Conto economico relativa ai “Proventi finanziari diversi dai precedenti”. Questa classificazione, in verità, sembra essere adeguata nell’ipotesi della presenza di un apporto di capitale, e quindi nel caso della “cointeressenza impropria”; la stessa invece non convince nel caso dei contratti di “cointeressenza propria” in cui il riflesso economico dell’operazione non ha in verità alcuna intrinseca natura finanziaria, bensì strettamente operativa.