20 Marzo 2015

Il business plan: cosa è e cosa non è

di Massimo Buongiorno
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Uno dei temi che più frequentemente ricorrono nella valutazione della posizione finanziaria delle PMI riguarda la capacità (o incapacità) di prevedere e quantificare i futuri andamenti dell’attività d’impresa.

In questo ambito si afferma spesso con forza la tesi per cui una PMI ben gestita deve avere un business plan.

Questa posizione pare a tratti divenire quasi un postulato indiscutibile, senza peraltro che all’imprenditore venga fatta opportuna chiarezza in merito ai vantaggi dello strumento previsionale e dei suoi limiti.

Partiamo da cosa è il business plan o, quanto meno, cosa dovrebbe essere.

Il primo tema da chiarire è che il business plan serve prima di tutto all’interno dell’impresa e non al suo esterno. E’ un fondamentale strumento gestionale che aiuta a valutare le conseguenze future delle decisioni correnti sia in termini di redditività aziendale sia in termini di rendimento per la proprietà.

Il business plan è uno strumento che unisce:

  • considerazioni qualitative che riguardano gli obiettivi, le strategie e singole azioni da intraprendere per realizzarli. Ad esempio se l’obiettivo fosse la crescita delle vendite all’estero e la strategia da intraprendere fosse individuata nel potenziamento della rete commerciale diretta, allora una prima azione potrebbe essere quella di assumere un nuovo manager con esperienze significative di gestione di quei canali.
  • considerazioni quantitative che esprimono numericamente le aspettative derivanti dalla strategie che si intende intraprendere.

 

Le due considerazioni devono essere equilibrate: il business plan non può essere solo quantitativo perché altrimenti chi legge il piano non potrebbe comprendere le ipotesi sulle quali è formato, ma non può essere nemmeno, in gran parte, qualitativo, posto che le valutazioni economiche e finanziarie si basano su “numeri”.

In merito alla componente quantitativa, il business plan è costituito da tre prospetti, il conto economico, lo stato patrimoniale e la dinamica dei flussi previsionali: l’assenza di una prospettica finanziaria ed il limitarsi al solo aspetto economico non può costituire uno strumento atto a svolgere considerazioni compiute. E’ evidente che non ci si può limitare alla sola previsione dei ricavi senza preoccuparsi dei tempi di incasso dei crediti!

Il business plan diviene un documento indirizzato all’esterno solamente quando l’impostazione strategica viene ritenuta la migliore possibile e quando i rendimenti attesi sono stati considerati soddisfacenti dalla proprietà.

In un contesto di crisi aziendale, il documento si complica nella dimensione operativa, poiché dovranno essere evidenziati con chiarezza gli elementi di discontinuità alla base del processo di ristrutturazione.

Il business plan è anche un documento che riassume la struttura organizzativa dell’impresa, evidenziando ruoli e responsabilità manageriali per il raggiungimento degli obiettivi. Uno dei principali profili di valutazione di un piano risiede proprio nell’adeguatezza del gruppo dirigenziale rispetto ai compiti che gli sono affidati.

Passiamo ora all’esame di quello che il business plan non è.

Il business plan non può essere una sfera di cristallo dentro alla quale vedere il futuro. Esso, invece, riassume un insieme di ipotesi e di previsioni che paiono le più ragionevoli al momento della sua redazione, eventualmente integrate da analisi di simulazione volte a comprendere l’effetto sull’impresa di scenari meno favorevoli di quelli ipotizzati.

E’ normale che gli eventi e le relative previsioni possano discostarsi da quelli previsti tuttavia l’esperienza mostra come la capacità di prevedere possa essere “appresa” dalle PMI, interrogandosi a fondo sui motivi alla base delle suddette differenze e apportando continui adattamenti ogni volta che si ritiene che debbano essere modificati gli scenari di fondo.

Il business plan non è lo strumento principale (anche se sempre richiesto) sul quale le banche costruiscono i modelli di rating. Essi si basano su dati consuntivi di bilancio e, soprattutto per le PMI, sui dati andamentali ovvero sull’analisi storica del rapporto tra l’impresa e la singola banca e il sistema bancario.

In questo senso, gli effetti sulle decisioni di affidabilità di un business plan sono limitati, tuttavia giova ricordare che oltre a valutazioni quantitative (il rating) il giudizio della banca si fonda anche su valutazioni qualitative dei funzionari che possono essere favorevolmente influenzate da un business plan ritenuto affidabile, e quindi realistico, e non scritto appositamente per impressionare.

In conclusione, quanto l’esperienza di questi anni ha mostrato è che il business plan è uno strumento utile solamente se il vertice aziendale crede nel suo valore e interpreta gli accadimenti alla luce di quanto previsto (o non previsto) nel piano in un continuo tentativo di migliorare la capacità di proiettare l’azienda nel futuro. Al contrario, se il business plan viene visto come un adempimento necessario ma, una volta redatto, rimane in un cassetto nella scrivania dell’imprenditore, probabilmente non vale nemmeno il costo dei consulenti che hanno aiutato l’impresa a redigerlo.