24 Gennaio 2014

I lupi dell’Irpinia

di Chicco Rossi
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Purtroppo, non per merito suo, l’Irpinia nella mente dei più vuol dire terremoto del 1980, ma soprattutto gli sprechi economici che ne sono derivati e che tutt’ora paghiamo.

Infatti, le tristemente note accise sulla benzina, introdotte nel lontano 1935 dal duce Benito Mussolini per finanziare la guerra di conquista dell’Abissinia e il ritorno dell’Impero romano, come non potevano contemplare anche l’Irpinia. Il problema nella realtà non sta nella richiesta di aiuto e di corretta sussidiarietà da parte della popolazione alla ricostruzioni delle terre che sono state martoriate da eventi a loro terzi e incontrollabili, bensì il mantenimento degli stessi.

Dell’Abissinia meglio non parlare, le ferite sono ancora aperte come il buon Pansa insegna, ma quel che in Irpinia risulta inconcepibile è che a oggi vi siano ancora persone costrette a vivere in prefabbricati, a differenza di quanto successe precedentemente in Friuli per il terremoto del ’76 dove la ricostruzione ha raggiunto eccellenze (vedasi Gemona).

Come mi disse un giorno un candidato alle elezioni comunali: una buca non è né di destra né di sinistra. È solo da tappare. Nella loro semplicità sagge parole.

Ma l’Irpinia e la sua popolazione non è spreco ma bellezza, giovialità e ospitalità, ne sa qualcosa Chicco Rossi che in un lontano week end di qualche anno fa prese l’autostrada direzione Atripalda, feudo di due colossi dell’enologia italiana: Mastroberardino e I Feudi di San Gregorio.

L’Irpinia, tuttavia, non è solo Fiano, Falanghina e Taurasi, ma anche tartufo, formaggi e salumi.

Punto di partenza è, come detto Atripalda. Entrando nel paese si trova al cantina di Mastroberardino dove, per non farsi mancare niente, si può acquistare, senza aver paura di sbagliare un buon Radici, cru prodotto con uvaggio al 100% Aglianico e prodotto con una lunga permanenza del mosto con le bucce. Viene affinato per circa 30 mesi in barriques di rovere francese e botti di rovere di Slavonia e per altri 36 di affinamento in bottiglia.

Di colore rosso rubino intenso, presenta un bouquet ampio, complesso, intenso con sentori di tabacco, ciliegia, frutti di bosco e note balsamiche. Al gusto avvolgente ed elegante in bocca, con aromi di prugna, ciliegia amara, confettura di fragole, pepe nero e liquirizia.

Riprendiamo l’automobile e iniziamo a inerpicarci per una strada in mezzo a castagni e a colline brulle che ci fanno capire perché il mitico Avellino del presidentissimo Antonio Sibilia (portate pazienza ma Chicco è cresciuto con i Rozzi, gli Anconetani e non si è ancora abituato agli indonesiani e ai figli di papà) era soprannominato I lupi di Iprinia,

Arriviamo davanti all’avvenieristica cantina dei Feudi di San Gregorio, dinamica azienda, guidata da un giovanissimo a.d. che di nome fa Antonio Capaldo.

Appena entrati si passa attraverso il giardino degli odori, una quantità infinita di erbe aromatiche nelle loro varianti (dedicheremo un appuntamento alla descrizione delle innumerevoli varianti) e puntiamo diritto versa la Marennà (merenda in dialetto) ristorante stellato guidato da Paolo Barrale, allievo di quell’Heinz Beck del La Pergola del Cavalieri Hilton.

C’è l’imbarazzo della scelta nei menù creativi di questo siciliano trapiantato in Irpinia e in più, è l’occasione per degustare i vini dell’azienda, perché non bisogna scordarselo Feudi vuol dire vino di qualità e con un ottimo rapporto qualità-prezzo (consigliamo un sorprendente Dubl nato dalla sinergia con il grande Anselme Selosse. Uno spumante metodo classico, ottenuto da uve di greco, da colore giallo dorato con fine perlage. All’olfatto si sentono note di fiori secchi. Al palato pieno e al gusto si notano sensazioni di miele di castagno fra amaro e fresco.

Ma la sorpresa è la cantina, si scende per delle scale e si entra in un mondo sotterraneo incantato, accolti da musica classica di sottofondo.

Chi avrà il piacere di andare a trovare Chicco Rossi nel suo buen retiro capirà determinati perché della sua cantina.

Dopo aver giustamente contribuito alla spesa del nostro povero Pil nazionale, ripartiamo destinazione Sant’Angelo dei Lombardi per andare a trovare Giuseppe Moscillo e il suo pecorinosulfureo” (ricordate uno dei vizi confessati la scorsa puntata?).

L’area di produzione è caratterizzata dal fenomeno chiamato mefite appartenente alla categoria del vulcanesimo minore, con emissioni di anidride carbonica ed acido solforico. I gas, trasportati dai venti, si depositano sull’erba, vengono respirati dagli animali. Il formaggio si ottiene dal latte delle pecore Laticauda, antiche parenti della pecora Nord-Africana.

Proseguiamo destinazione Gesualdo dove andremo a visitare il castello, senza dimenticare l’aspetto gastronomico fermandoci nel tempio delle norcinerie: la macelleria Carrabs dove ci dovremo divincolare e soprattutto trattenere dal comprare il negozio. Infatti, come resistere a sopressata, guanciale, capicollo, pancetta arrotolata e quant’altro?

Gli antichi romani dicevano “Mens sana in corpore sano” e allora perché non pernottare al Resort Radici per essere pronti la mattina dopo per 18 buche nel’unico campo da golf d’Irpinia?

Il problema è che il ristorante Morabianca del golf è di proprietà della famiglia Mastroberardino e quindi il conto calorie accumulate e bruciate non tornerà mai.

Ma la vita in fin dei conti è breve…