16 Novembre 2019

I limiti probatori del giudizio di riassunzione a seguito di rinvio della Cassazione

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

In via generale, il giudizio di rinvio costituisce una fase autonoma del processo tributario, che viene introdotta mediante la riassunzione dinanzi alla Commissione tributaria di pari grado rispetto a quella che ha pronunciato la sentenza cassata.

Detto giudizio, quindi, non rappresenta la continuazione della precedente fase di merito e la riassunzione si configura semplicemente «come attività di impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata» (Cfr. Cass. 4018/2006).

Tale giudizio è disciplinato dall’articolo 63 D.Lgs. 546/1992, a mente del quale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, con la precisazione che, in sede di rinvio, si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti alla Commissione tributaria a cui il processo è stato rinviato.

La norma de qua stabilisce altresì che le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel giudizio in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle avanzate in tale procedimento; peraltro, il giudizio si estingue in caso di inosservanza del termine perentorio di cui innanzi o nell’ipotesi in cui, successivamente alla riassunzione, si avveri una causa di estinzione del giudizio di rinvio.

Più nel dettaglio, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che detto giudizio non rappresenta un nuovo processo di appello, dacché esso non costituisce la continuazione della pregressa fase di merito, non essendo destinato a confermare o riformare la precedente sentenza, ma integra una nuova ed autonoma fase avente natura rescissoria, essendo dunque funzionale all’emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi alla precedente, statuisca direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cfr. Cass. 19660/2019; Cass. 1824/2005).

In tale ottica, è stato altresì osservato che il giudice innanzi al quale il processo è riassunto deve giudicare allo stato degli atti formatosi nella fase ascendente del processo, atteso che costituisce principio pacifico e consolidato quello secondo cui «è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione» (Cfr., Cass. 4096/2007; Cass. 15952/2006).

Con specifico riferimento, poi, alla possibilità di produrre nuove prove o nuovi documenti nel giudizio di rinvio, la Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza 6 novembre 2019, n. 28547, ha ribadito che «nell’ambito del processo tributario, la riassunzione della causa dinanzi al giudice di merito, a seguito della cassazione con rinvio conseguente all’erronea allocazione dell’onere probatorio, instaura un processo chiuso nel quale, dovendosi tener conto delle preclusioni e decadenze già verificatesi, è preclusa alle parti ogni possibilità di produrre nuove prove e, segnatamente, nuovi documenti, dovendo il giudice deliberare allo stato degli atti formatosi nella fase ascendente del processo».

Nella medesima pronuncia i Giudici di vertice hanno altresì precisato che il suddetto principio può essere derogato nell’ipotesi in cui la produzione sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dal mutamento del thema decidendum o probandum ad opera della stessa sentenza di annullamento della Corte di Cassazione ovvero, ancora, dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore.

Alla luce delle suddette coordinate ermeneutiche, la Suprema Corte ha quindi rigettato il gravame, ritenendo inammissibile la produzione documentale depositata dalla ricorrente ed evidenziando, all’uopo, che nella specie non troverebbe applicazione l’articolo 58, comma 2, D.Lgs. 546/1992 (secondo cui «È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti»), giacché si verte nell’ambito di un giudizio di rinvio e sono dunque maturate le preclusioni processuali, la stessa ha dimostrato di non aver potuto depositare detta documentazione in precedenza per causa di forza maggiore.

Conclusivamente, è possibile affermare che il giudizio di rinvio è un processo ad istruzione “chiusa”, sicché è preclusa l’acquisizione di nuove prove e nuovi documenti (salvo che la parte interessata dimostri di non avervi provveduto per causa di forza maggiore), e ciò al fine di evitare un ampliamento del thema decidendum, cristallizzatosi nelle precedenti fasi processuali.

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