15 Dicembre 2015

I derivati di tasso e le novità dei bilanci

di Marco Capra
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Come è noto, i derivati di tasso, Interest Rate Swap o IRS, sono strumenti finanziari che possono avere più finalità: per coprire il rischio di variazione dei tassi di interesse, per speculazione, per gestione.

Nonostante la loro ampia diffusione, gli IRS erano regolamentati solo marginalmente a livello contabile.

Il recente “decreto bilanci”, il D.Lgs. 139/2015, ha (parzialmente) colmato la lacuna, disciplinando la rilevazione in bilancio.

Il nuovo articolo 2426, primo comma, codice civile, al punto 11-bis, dispone l’obbligo di rilevazione degli strumenti derivati al fair value, attuando l’articolo 8, primo comma, della direttiva 2013/34/UE, conforme alla prassi internazionale. Il Decreto ha pure modificato gli schemi di stato patrimoniale e conto economico ed ha integrato l’informativa di Nota integrativa.

Secondo i principi contabili internazionali (IAS 39), siccome recepiti nel nostro ordinamento, occorre avere riguardo alla prevalenza della sostanza economica dell’operazione rispetto alla forma giuridica del rispettivo contratto: per l’effetto, l’imprenditore deve rilevare attività e passività finanziarie quando è parte nelle clausole contrattuali dello strumento, cioè quando sorgono i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto (il previgente – anzi, tutt’ora vigente – sistema domestico, invece, non prevedeva la rilevazione dei derivati nello stato patrimoniale, se non per le perdite maturate che, secondo l’OIC 31, dovevano essere stanziate in apposito fondo rischi del passivo).

Il fair value dei derivati deve essere aggiornato nelle valutazioni successive alla prima iscrizione; in particolare, le variazioni sono imputate a conto economico, ovvero, se lo strumento copre il rischio di variazione dei flussi attesi di un altro strumento o operazione, ad una riserva positiva o negativa di patrimonio netto (riserva da imputarsi a conto economico al verificarsi o al modificarsi dei flussi di cassa del sottostante)

In aggiunta, i derivati di copertura devono essere valutati simmetricamente al sottostante.

Non sono distribuibili gli utili che derivano dalla valutazione degli strumenti non di copertura; gli utili derivanti dalla valutazione di derivati di copertura, a condizione che la copertura si riferisca ad elementi presenti in bilancio e valutati simmetricamente allo strumento derivato sono, invece, distribuibili.

Le riserve che derivano dalla valutazione di derivati di copertura non rilevano per le finalità di cui agli articoli 2412 (limiti all’emissione di obbligazioni), 2433 (distribuzione di utili ai soci), 2442 (passaggio di riserve a capitale), 2446 (riduzione del capitale per perdite) e 2447 (riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale) codice civile.

La nuova disciplina induce molteplici problemi.

Volendoci qui limitare alle questioni più immediate, sotto un primo profilo ci si chiede quale sia la decorrenza dei nuovi obblighi.

In linea generale, si osserva che le disposizioni contenute nel Decreto entreranno in vigore dal 1° gennaio 2016 e si applicheranno ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio a partire da tale data.

Bene: ma i primi “dati d’ingresso” dovranno essere raccordati con i valori del bilancio al 31 dicembre 2015.

Ed invero, dovendo privilegiare la sostanza alla forma, anche per i derivati più semplici, di copertura, occorre riconoscere l’opportunità, se non la necessità, di adeguare lo strumento originario alle successive ed eventuali variazioni del sottostante (la previsione, peraltro, è presente in molti accordi-quadro adottati dalle banche italiane, con correlato obbligo per il cliente di comunicare ogni variazione del proprio indebitamento finanziario al fine di adeguare il prodotto ovvero estinguerlo anticipatamente).

Tale aspetto viene, per certi versi, recepito nella Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009 in cui si afferma che “Dopo la conclusione del contratto, le procedure aziendali [si riferisce alle banche – n.d.r.] dovranno consentire di monitorare nel tempo, per tutta la durata dell’operazione, e sulla base dell’aggiornamento delle informazioni fornite dal cliente o comunque disponibili, l’evoluzione delle posizioni coperte e di copertura. In tal modo l’intermediario sarà nelle condizioni di poter segnalare al cliente l’eventuale disallineamento della struttura ideata rispetto alle finalità che hanno condotto all’impostazione originaria dell’operazione”.

Un approfondimento viene offerto dalle “Linee guida interassociative per l’applicazione delle misure Consob di livello 3 in tema di prodotti finanziari illiquidi” del 5 agosto 2009 redatto da ABI, ASSOSIM e FEDERCASSE in cui, proprio argomentando sulla predetta Comunicazione Consob, si indicano gli interventi da eseguire nelle fasi successive alla stipula del contratto derivato: “Appare necessario che l’intermediario adotti appositi presidi contrattuali, che prevedano obblighi/oneri di comunicazione a carico del cliente, anche in relazione ad apposite richieste dell’intermediario. Per le operazioni in derivati OTC su tassi di interesse – oltre a verificare ogni altra informazione rilevante a sua disposizione – l’intermediario potrà, in ogni caso, utilmente raffrontare l’ammontare del nozionale dei derivati OTC in essere con l’indebitamento del cliente risultante dalla Centrale Rischi: in considerazione della durata pluriannuale di tale tipologia di contratti la verifica dovrebbe svolgersi con una frequenza almeno annuale”.

La superiore disciplina è dettata per le banche, ma costituisce ottimo riferimento anche per le imprese clienti.

Sotto altro profilo, ci si domanda a chi spetti il calcolo del fair value del contratto, ovverosia se per la formazione del bilancio sia sufficiente la comunicazione della banca ovvero l’impresa debba provvedere ad autonome verifiche.

Il tema è tutt’altro che banale, posto che le tecniche di pricing possono sfuggire al redattore del bilancio.

Ne vedremo delle belle.