Gli effetti del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario
di Francesco FerrajoliLuigi FerrajoliCon la sentenza n. 3800/2025, la Corte di Cassazione, intervenendo sulla nuova disciplina in tema di efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario contenuta nell’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000, introdotto dall’articolo 1, lettera m), D.Lgs. 87/2024, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “l’articolo 21-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l’articolo 1 lettera m) d.lgs. n. 87/2024, poi recepito nell’articolo 119 T.U. della giustizia tributaria, in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non avere commesso il fatto, ha, nel processo tributario, efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali, si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie irrogate e non all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio”.
Il nuovo articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 sulla efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di cassazione
L’articolo 20, L. 111/2023 (Legge delega per la Riforma fiscale) fissa i principi e i criteri direttivi al fine della revisione del sistema sanzionatorio tributario amministrativo e penale, prevedendo che “siano rivisti i rapporti tra processo penale e processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché´ il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi”.
In attuazione di tali principi e criteri direttivi è stato emanato il D.Lgs. 87/2024 contenente (articolo 1) “disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali” che, nell’ambito del D.Lgs. 74/2000 e segnatamente del suo Titolo IV, introduce (lettera m)) l’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 che – rubricato quale “efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di cassazione” – prevede che:
“1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.
- La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.
- Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati”.
Il nuovo articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 prevede che la sentenza irrevocabile di assoluzione (penale) a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel processo tributario a condizione che:
- l’assoluzione sia stata pronunciata perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso;
- si tratti del medesimo soggetto e degli stessi fatti materiali oggetto del processo tributario;
- l’efficacia sia limitata evidentemente ai medesimi fatti.
Non comportano quindi alcuna efficacia di giudicato:
- analoghe sentenze assolutorie ma pronunciate a seguito di giudizio abbreviato;
- sentenze assolutorie con altre formule;
- archiviazioni e pronunce di non luogo a procedere emesse dal GUP.
Nel caso di procedimento in Cassazione, le sentenze assolutorie definitive possono essere depositate fino a 15 giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.
La Corte di Cassazione, con i primi interventi sulla nuova normativa, ha chiarito gli aspetti temporali di applicazione della stessa, specificando in numerosi interventi (si veda per tutte Corte di Cassazione, sentenza n. 23570/2024) che la novella normativa “si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del D.Lgs., sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso). Ne consegue che, spiegando la sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato nell’ambito del giudizio con riferimento all’esistenza dei fatti posti a base delle riprese fiscali, deve ritenersi, anche con riferimento al giudizio tributario, che tali fatti non sussistono”.
Il novellato articolo 20, D.Lgs. 74/2000 prevede che le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili, e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato.
Ciò va certamente salutato con estremo favore per eventuali illeciti tributari che, superando una determinata soglia di punibilità, diventano penalmente rilevanti. Infatti, se, a seguito di adesione, l’imposta evasa va sotto la rilevanza penale, l’interessato avrà importanti benefici. Ma per le violazioni penali tributarie non soggette a soglia (si pensi ai casi di dichiarazione con false fatture) l’eventuale adesione all’accertamento potrebbe costituire elemento di prova contro l’interessato nel processo penale. Analogo rischio per accertamenti non impugnati o per sentenze definitive.
È evidente che, in futuro, per tali violazioni l’indagato dovrà ben ponderare le scelte (adesione, acquiescenza, eccetera), perché potrebbero recare un pregiudizio o comunque condizionare l’eventuale procedimento penale. In ogni caso potrebbe essere utile, in caso di adesione, che nell’atto di definizione il contribuente evidenzi di aver definito il tutto, pur non riconoscendo la fondatezza della pretesa erariale ma solo per questioni economiche valutate sulla base dell’onere di un eventuale contenzioso tributario che avrebbe 3 gradi di giudizio rispetto ai benefici immediatamente fruibili con l’adesione.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 3800/2025 e la tesi della limitazione del giudicato assolutorio al solo trattamento sanzionatorio con esclusione delle imposte
Dopo una serie di primi interventi sulla disposizione contenuta nell’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 (si vedano Cassazione n. 16584/2024, n. 21584/2024, n. 23570/2024, n. 23609/2024, n. 30814/2024, n. 30900/2024 e n. 1021/2025) nei quali la Corte di Cassazione ha affermato l’immediata operatività della norma con riguardo a decisioni penali preesistenti alla novella, la Suprema Corte ha individuato alcuni limiti alla sua applicazione, con particolare riguardo alle decisioni emesse dal giudice dell’udienza preliminare ovvero alla diversità delle statuizioni espresse (improcedibilità) e ciò a prescindere dalla disamina in concreto operata nel giudizio, e ne ha dato una prima applicazione con la sentenza n. 3800/2025, con cui ha inteso procedere a un inquadramento sistematico della nuova disposizione e della sua effettiva valenza e incidenza nel sistema processuale e sostanziale, giungendo all’affermazione secondo cui la sentenza penale irrevocabile di assoluzione “perché il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso” sarebbe idonea a vincolare il giudice tributario soltanto per quanto riguarda la sanzione amministrativa, ma non per quanto riguarda l’accertamento dell’imposta, assumendo in quest’ultimo caso soltanto il valore di “elemento di prova”.
Tale principio – ribadito da ultimo nelle sentenze n. 9157/2025 e n. 9192/2025 – ha immediatamente suscitato da parte della dottrina e degli operatori del diritto sorpresa e perplessità, tanto che la questione non solo ha formato oggetto di una quasi immediata rimessione degli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione, affinché valuti l’assegnazione alle Sezioni Unite (ordinanza n. 5714/2025), ma ha formato oggetto anche di rinvio alla Corte Costituzionale, disposto dalla CGT di II grado del Piemonte, affinché il giudice delle leggi valuti la legittimità costituzionale della nuova disposizione in relazione al diritto di difesa (articolo 24, Costituzione) e al principio di uguaglianza (articolo 3, Costituzione).
La rilevanza del giudicato assolutorio solo ai fini del trattamento sanzionatorio troverebbe fondamento, secondo la Suprema Corte, in primo luogo, in una valutazione di natura sistematica, e cioè nel fatto che “l’articolo 21-bis trova la sua fonte primaria nei principi e nelle direttive mirate alla nuova determinazione dell’assetto sanzionatorio tributario e penale” la cui ratio è da individuare nell’intento di “rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem in vista di una razionalizzazione del sistema sanzionatorio tributario e penale”, mantenendo in ogni caso “l’esistenza di un doppio binario procedimentale e processuale”.
In secondo luogo, l’intervento riformatore si è sviluppato nell’alveo della disciplina sanzionatoria già esistente. Infatti, il D.Lgs. 87/2024 è intervenuto sul D.Lgs. 74/2000, inserendo nuove disposizioni – tra cui l’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 – ovvero modificando, in coordinamento con quelle introdotte, quelle preesistenti, ma ribadendo a livello di disciplina positiva l’esistenza di un doppio binario procedimentale e processuale: non solo deve ritenersi consentito, ma anzi diviene doveroso per l’Amministrazione finanziaria avviare il procedimento di irrogazione della sanzione ancorché il medesimo fatto sia, al contempo, oggetto di rilievo penale. Inoltre, il processo tributario non deve essere sospeso in attesa della definizione di quello penale e l’eventuale giudicato tributario formatosi prima di quello penale rimane fermo per gli aspetti sostanziali.
Nel sistema precedente, al fine di evitare che vi fosse una duplicazione (in violazione delle norme sul divieto di bis in idem), le sanzioni tributarie, pur irrogate, non potevano trovare applicazione fino a quando il giudizio penale fosse stato pendente ed era stabilito che:
a) se la sentenza fosse stata di condanna, la sanzione amministrativa restava definitivamente ineseguibile (perché assorbita da quella penale);
b) se, invece, la sentenza penale fosse stata favorevole al contribuente, la sanzione diventava eseguibile solamente se il procedimento penale fosse stato definito con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto.
La Riforma, secondo il ragionamento fatto proprio dalla Cassazione, ha semplicemente anticipato alla fase della cognizione – e anche nel giudizio di Cassazione – la deducibilità, ai fini dell’irrogazione della sanzione, della pronuncia penale di assoluzione per le formule “il fatto non sussiste” e “l’imputato non lo ha commesso”, sicché la relativa rilevanza non è più limitata alla sola fase della riscossione ma è suscettibile di essere dedotta anche in sede di cognizione operando peraltro solo sullo stesso piano delle sanzioni e non su quello dell’accertamento della pretesa fiscale che continua a rimanere affidato al solo giudice tributario.
L’esigenza tutelata dal Legislatore – ma già presente nelle originarie previsioni – è, pertanto “quella di trattare in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario”.
A conferma del fatto che l’intervento legislativo abbia rilevanza solo piano sanzionatorio e non su quello sostanziale, si afferma che “il legislatore ha introdotto, con la novella, anche l’articolo 21-ter d.lgs. n. 74 del 2000 per il diverso versante del cumulo sanzionatorio nel caso di riconosciuta responsabilità, sì da evitare che il trattamento risulti eccessivamente gravoso, prevedendo che il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva”.
Nella ricostruzione della Corte assume poi un particolare rilievo il comma 3 dell’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 che prevede che “Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati” ritenendo che l’utilizzo della congiunzione “anche”, riferita alla persona fisica o alla società nonché ai soci o associati si potesse spiegare soltanto in chiave sanzionatoria, poiché l’accertamento del tributo è naturalmente riferito al soggetto passivo, che è l’imprenditore individuale o la società, e non alla persona che abbia agito per loro, né ai soci e agli associati, che rispondono ad altro titolo.
Conclusivamente, il principio di diritto applicabile alla fattispecie viene formulato nei seguenti termini: “l’articolo 21-bis d.lgs. n. 87 del 2024, secondo una interpretazione letterale e sistematica, è suscettibile di esplicare i suoi effetti in termini diretti esclusivamente con riguardo alla sanzione irrogata, mentre con riguardo all’imposta la valutazione della sentenza penale di assoluzione resta tuttora ancorata ai principi, prima illustrati, afferenti alla circolazione della prova, esclusa ogni automatica estensione al giudizio tributario”.
Le criticità individuate dalla Cassazione nella disciplina dell’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000
Nella sentenza n. 3800/2025 la Corte di Cassazione, nel formulare il principio della limitazione della rilevanza del giudicato penale alle sole sanzioni, provvede a individuare una serie di criticità poste dalla disposizione contenuta nel nuovo articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000.
In primo luogo, atteso che il giudicato penale di assoluzione esplica i suoi effetti in quanto la sentenza penale sia “pronunciata … sugli stessi fatti materiali” oggetto del giudizio tributario, occorre specificare il contenuto dell’accertamento di fatto, chiarendo che, sebbene assuma rilievo anche il fatto-reato per come contestato in sede penale, il giudicato “attiene ai fatti materiali e non alla astratta contestazione”. Occorre osservare, sul punto, che l’oggetto del processo penale è diverso da quello della violazione tributaria, per cui occorre:
a) valutare la coincidenza o meno del fatto in relazione al capo d’imputazione;
b) riferire la formula assolutoria (il fatto non sussiste) alla contestazione.
A titolo esemplificativo la sentenza rileva che l’orientamento prevalente della Cassazione penale, con riguardo al reato di omesso versamento dell’Iva, previsto dall’articolo 10-ter, D.Lgs. 74/2000, reputa che la soglia di punibilità configuri “un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”” (Cassazione n. 35611/2016), sicché, in questo caso, i fatti accertati ai fini penali sono diversi da quelli rilevanti in sede civile.
Il “fatto”, dunque, va necessariamente riguardato sotto il versante naturalistico in relazione agli elementi costitutivi vuoi dell’illecito amministrativo vuoi di quello penale. Su tale aspetto, invero, la Corte, nell’ambito dei giudizi civili, ha chiarito, con indicazioni validamente riferibili anche all’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000, che “per “fatto” accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso” (si veda ex multis Cassazione n. 19863/2013, n. 15392/2018, Cass., n. 26811/2022), sottolineando anche che “al giudice civile è precluso procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio, ma non di indagare, ai fini della cognizione ad esso rimessa, su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale”. Né è vincolante la qualificazione giuridica dei fatti data dal giudice penale ove non sia rimessa in discussione la “materialità fenomenica” dell’accertamento del giudice penale (ad esempio, Cassazione n. 4929/2015): in sintesi, il vincolo sul giudice civile si traduce nella “impossibilità per il giudice civile di ritenere inesistenti i fatti accertati dal giudice penale, ovvero di ritenere esistenti fatti dei quali sia stata esclusa la verità in sede penale”.
In secondo luogo, viene osservato che non dovrebbe avere rilevanza nel processo tributario (come sostenuto, invece, da Cassazione n. 23570/2024) l’assoluzione pronunciata ai sensi dell’articolo 530, comma 2, c.p.p.. Nella sentenza n. 3800/2025 si afferma, infatti, che sebbene “nel giudizio penale la prova positiva dell’innocenza dell’imputato (articolo 530, comma 1) e la prova negativa della sua responsabilità (articolo 530, comma 2) hanno pari valore, la giurisprudenza civile, nell’interpretare gli articoli 651-654 c.p.p., ha distinto le due situazioni, attribuendo differente valore alle ipotesi di assoluzione pronunciate a norma del primo comma rispetto a quelle pronunciate a norma del secondo comma in linea con l’interpretazione delle Sezioni Unite” (Cassazione, SS.UU. n. 1768/2011, per la quale “la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l’insussistenza del fatto”). Viene rilevato che il principio generale è quello “dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, sicché il carattere di eccezione a tale principio, che si rinviene in quanto previsto dalla norma dell’articolo 652 c.p.p. (e analogamente è da dirsi per le ipotesi contemplate dagli articoli 651, 653 e 654 dello stesso codice), impedisce, non solo, di poter fare applicazione analogica della citata disposizione oltre i casi espressamente previsti, ma impone di perimetrarne anche in senso restrittivo l’operatività, tenuto conto dei limiti costituzionali del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, richiamati dalla stessa legge delega”. Inoltre, si è evidenziato che “l’efficacia preclusiva del giudicato di assoluzione è tale, però, soltanto se il giudicato stesso contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’articolo 530, comma 2, c.p.p.”.
Ulteriori profili di criticità della nuova normativa sono individuabili nei rapporti tra accertamento sulla sanzione e accertamento sull’imposta, dovendosi prendere atto che la disciplina dell’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000 “lascia inalterato il regime probatorio e la rilevanza della decisione penale sul rapporto d’imposta”. Pertanto, se relativamente ai profili sanzionatori qualora i fatti siano i medesimi, occorre riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione, quanto all’accertamento dell’imposta, risultando immutati i criteri di ripartizione dell’onere della prova e la valutazione da parte del giudice previsti dalle disposizioni fiscali, la sentenza penale di assoluzione conserva la sua rilevanza solo quale prova ai sensi dell’articolo 654, c.p.p. e 20, D.Lgs. 74/2000, soggetta all’autonoma valutazione del giudice, da apprezzare insieme alle altre prove acquisite nel giudizio (secondo quanto tradizionalmente ritenuto, Cassazione n. 9900/2024).
Considerazioni conclusive
La tesi sostenuta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3800/2025 circa la limitazione alle sole sanzioni dell’ambito applicativo dell’articolo 21-bis, D.Lgs. 74/2000, seppure ampiamente motivata in relazione alle criticità poste dalla norma, desta numerose perplessità, in quanto appare contrastare, in modo netto, con il dato normativo e con la ratio legis.
In primo luogo, la tesi della Corte secondo cui la Riforma fiscale avrebbe mantenuto inalterato lo schema del doppio binario essendo finalizzata unicamente ad adeguare il sistema sanzionatorio penale-tributario al principio del ne bis in idem, non appare condivisibile. La Riforma operata con il D.Lgs. 87/2024, infatti, lungi dal lasciare inalterato lo schema del doppio binario, ha inteso, invece, innovarne proprio la struttura, come emerge dall’articolo 20, L. 111/2023, che poneva proprio l’obiettivo di “rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i princìpi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi e adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale”. La Riforma, quindi, è intervenuta sul complesso coacervo dei rapporti tra processo penale e tributario e non si è limitata ad agire solo sul fronte dell’adeguamento delle sanzioni al principio del ne bis in idem, come sostenuto dalla Corte nella sentenza in esame.
In secondo luogo, va rilevato che l’interpretazione della norma, proposta dalla Corte, sembra alludere al rischio di un acritico automatismo nella trasposizione della sentenza penale all’interno del processo tributario, come se l’assoluzione penale potesse ostacolare l’accertamento della violazione del contribuente evasore sul piano tributario. Sul punto il dato normativo è chiaro laddove fa riferimento all’efficacia dell’accertamento dei fatti materiali: la richiesta esplicita del Legislatore, nella Legge delega, di prevedere che “i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario”, non lascia spazio ad alcun dubbio rispetto alla valenza complessiva dell’accertamento operato in sede in penale. Infatti, sulla base della lettera della legge, il punto nodale della norma riguarda l’accertamento dei fatti materiali, che devono essere gli stessi in entrambi i procedimenti e la cui inesistenza, se accertata dal giudice penale con sentenza dibattimentale definitiva, riveste efficacia di giudicato nei confronti del giudice tributario.
Infatti, come affermato in un’altra sentenza (Cassazione n. 30814/2024, poi ripresa da Cassazione n. 936/2025), “… quando si discute di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extrapenale del dispositivo della sentenza, ma il valore extrapenale degli accertamenti dei fatti”. In altre parole, non si verificherebbe il paventato “appiattimento” sugli esiti del giudizio penale da parte del giudice tributario: ciò in quanto l’automatismo non riguarda il giudicato in sé e per sé considerato ma l’accertamento dei fatti da parte del giudice penale del dibattimento, Autorità che notoriamente possiede poteri istruttori maggiori rispetto al giudice tributario.
Ebbene, sostenere che la verità processuale sul fatto accertata dal giudice penale (ad esempio l’effettività di un’operazione descritta nella fattura oggetto dell’imputazione o la provata estraneità del soggetto incolpevole nella “frode carosello”) non sia più tale in sede tributaria, o meglio sia tale ma soltanto ai fini sanzionatori e non valga (automaticamente) ai fini dell’unitarietà dell’accertamento d’imposta, costituirebbe un’interpretazione illogica, irragionevole e lesiva dei principi sanciti dagli articoli 3, 24, 53 e 111, Costituzione.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso”.