12 Giugno 2014

Gli accordi transattivi con i dipendenti e la variabile fiscale

di Fabio Pauselli
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Come noto, il comma 2 dell’articolo 6 del Tuir stabilisce che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti“. In questo contesto normativo, quindi, si può affermare che nel caso in cui vengano erogate delle somme a titolo di sostituzione o integrazione del reddito da lavoro, queste saranno soggette a tassazione (“lucro cessante”). Viceversa, nel caso in cui la somma sia erogata a titolo di risarcimento del danno, intesa come mera reintegrazione patrimoniale delle perdite subite, questa non sarà tassabile (“danno emergente”).

In tal senso protende anche l’Amministrazione finanziaria (Risoluzione n.155/E/2002), secondo la quale in tema di risarcimento danni o indennizzi percepiti da un soggetto vanno assoggettate a tassazione le somme corrisposte per integrare o sostituire la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero il mancato guadagno. Diversamente, laddove il risarcimento erogato indennizzi il percettore delle spese sostenute e abbia, quindi, la mera funzione di reintegrazione patrimoniale, secondo l’Amministrazione finanziaria tale somma non sarà soggetta a tassazione; prevale, infatti, la funzione reintegrativa del danno subito dal soggetto leso, mancando una qualsiasi finalità sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi. In tal caso la non tassabilità delle somme incassate presupporrà la presenza di una prova tangibile e documentale circa l’effettiva presenza di un danno emergente quale, ad esempio, la presenza di fatture, ricevute e documenti che ne attestino e ne quantifichino la portata. E’ pur vero, tuttavia, che in alcuni casi si potrebbe rilevare un “danno emergente” anche senza una rilevante presenza di prove documentali: si pensi al risarcimento del danno alla professionalità e all’immagine patito da un lavoratore e derivante da un demansionamento operato dal datore di lavoro (in tal senso Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 28887/2008).

C’è da dire, inoltre, che il corretto inquadramento fiscale delle somme erogate a seguito di conciliazione giudiziale può essere diverso anche a seconda che questa abbia ad oggetto il quantum oppure l’ an del rapporto controverso. Infatti, nel caso in cui la conciliazione si fondi sul quantum, la controversia non riguarderà la prestazione d’opera bensì il valore attribuibile ad essa; la somma erogata, quindi, derivando dalla prestazione lavorativa, costituirebbe, come abbiamo visto, reddito di lavoro dipendente. Viceversa, nel caso in cui la conciliazione riguardi l’an, questa costituirà una situazione giuridica nuova e certa in sostituzione di una precedente incerta.

Nella pratica si assiste ad alcuni casi in cui il datore di lavoro, pur non riconoscendo le pretese dei lavoratori dipendenti, decide di erogare delle somme al solo scopo di conciliare la controversia. Dall’altro lato i lavoratori dipendenti, con l’accettazione di tali somme, si obbligano a rinunciare alla lite giudiziale e a far valere le proprie pretese. In questi termini l’accordo perfezionato assume titolo novativo, qualificandosi come un contratto con il quale i soggetti interessati sostituiscono un nuovo rapporto a quello originario (art. 1965 co 2 Cod. Civ.). Le somme riconosciute, pertanto, non hanno la finalità di eliminare la res dubia oggetto della lite e nemmeno di rappresentare un riconoscimento di qualsivoglia diritto vantato dal lavoratore, bensì vengono erogate al solo fine di evitare un eventuale futuro contenzioso che potrebbe sorgere tra le parti. In questi termini, fiscalmente parlando, gli effetti del procedimento conciliativo si sostanziano in un’obbligazione di non fare da parte dei lavoratori dipendenti i quali si obbligano a non proseguire la controversia a fronte del percepimento di una determinata somma di denaro. Quest’ultima, da una parte costituirà un’autonoma fattispecie impositiva in capo al lavoratore inquadrabile nei redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. l) del Tuir, dall’altra farà insorgere in capo all’ erogante – sostituto d’imposta l’obbligo di effettuare, all’atto del pagamento, la ritenuta a titolo d’acconto ex art. 25 del D.P.R. n. 600/73.