14 Maggio 2025

Finanziamento dei soci sotto la lente del codice civile e del fisco – 1° parte

di Andrea Bongi
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Tra le questioni più dibattute e oggetto di chiarimenti è senz’altro il tema relativo alle caratteristiche ed alle modalità con le quali deve essere strutturata l’operazione di finanziamento dei soci alla società.

In particolare, è importante predisporre un apposito supporto documentale da conservare anche al fine di vincere la presunzione di fruttuosità del finanziamento contenuta nell’articolo 89, comma 5, Tuir, ai sensi del quale: “Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale”.

Per supportare adeguatamente un’operazione di finanziamento infruttifero da parte dei soci è da ritenere necessaria la seguente documentazione:

  • una richiesta di finanziamento proveniente dall’organo amministrativo della società; oppure
  • una proposta spontanea del socio rivolta all’organo amministrativo,

nelle quali siano indicate le condizioni e l’importo del finanziamento con specificazione, se del caso, dell’infruttuosità dello stesso (tasso di interesse pari a zero).

A tali richieste o domande seguirà, poi, una risposta di conferma che riassumerà, con chiarezza, le modalità, i tempi di restituzione del finanziamento e la sua infruttuosità o meno.

L’operazione verrà poi rappresentata contabilmente ed evidenziata in nota integrativa, secondo quanto previsto dall’articolo 2427, comma 1, n. 22-bis, cod. civ..

Sempre in relazione alla presunzione di fruttuosità del finanziamento soci, particolari attenzioni devono essere poste anche nel caso di finanziamento effettuato dalla società controllata alla sua holding.

Dall’analisi della giurisprudenza della Corte di cassazione emerge un orientamento consolidato in materia di finanziamenti infragruppo e della loro presunta fruttuosità.

Sulla base della previsione contenuta nell’articolo 89, comma 5, Tuir, la giurisprudenza prevalente ritiene necessario che l’operazione sia formalizzata per scritto non solo per pattuire un tasso di interesse diverso da quello legale previsto dalla norma, ma anche per escludere completamente gli interessi e quindi disciplinare un finanziamento infruttifero (a tasso zero).

La Corte di cassazione (sentenza n. 11154/2010) ha, infatti, affermato che esiste una “presunzione di fruttuosità” dei crediti, che può essere superata solo con la prova contraria, il cui onere è posto a carico del contribuente e non dell’Agenzia delle entrate.

Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, per qualificare correttamente un finanziamento del socio come infruttifero e renderlo opponibile all’Amministrazione finanziaria, sono necessari, dunque, diversi requisiti formali:

  • la formalizzazione scritta dell’accordo che stabilisce la natura non fruttifera del finanziamento;
  • la corretta contabilizzazione nel bilancio di esercizio, che costituisce il documento contabile fondamentale nel quale la società dà conto dell’attività svolta;
  • la presenza di regolari delibere assembleari che approvano il finanziamento;
  • la coerenza temporale con l’andamento finanziario del periodo.

Nei rapporti tra soci e società, la presunzione legale di fruttuosità dei prestiti in denaro erogati dai soci alla società è stabilita, ai fini fiscali, anche per le società di capitali, dal combinato disposto degli articoli del Tuir che prevedono che le somme versate dai soci alla societàsi considerano date a mutuo se dai bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo”. Trattandosi di presunzione legale relativa, essa è suscettibile di prova contraria, essendo consentito al contribuente dimostrare di aver effettuato l’attribuzione delle somme ad altro titolo, non potendosi quindi escludere anche il prestito senza pattuizione di interessi corrispettivi.

Per superare la presunzione di fruttuosità è dunque necessario che le parti siano in grado di dimostrare in modo formale e rigoroso la pattuizione di gratuità del finanziamento, attraverso documentazione in forma scritta e, se possibile, con data certa (magari attraverso scambi di messaggi pec).

In mancanza di tale prova rigorosa, il finanziamento si presume fruttifero e gli interessi vengono calcolati al tasso legale.

Pertanto, anche nel caso di un finanziamento dalla controllata alla holding, se non risulta adeguatamente verbalizzato e formalizzato per iscritto il carattere non oneroso del prestito, questo si presume fruttifero e gli interessi vengono computati al saggio legale.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, risulta del tutto evidente che non sia sufficiente alla dimostrazione della non onerosità del finanziamento eseguito dal socio alla società la sola indicazione nel bonifico effettuato di “prestito non fruttifero”.

La Cassazione ha recentemente stabilito (sentenza n. 9131/2025) che “la legittimità di un finanziamento soci, opponibile al Fisco, richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo: diversamente l’erogazione finanziaria deve ritenersi re-immissione in azienda di utili occulti”.

Inoltre, la Corte ha precisato che: “ai fini fiscali, nell’ambito del reddito d’impresa, rileva il disposto del comma 5 dell’articolo 89, Tuir, ai sensi del quale “se la misura non è determinata per iscritto, gli interessi si computano al saggio legale”.

Questo comporta che la formalizzazione scritta è necessaria non solo per pattuire un tasso diverso da quello legale, ma anche quando le parti intendono convenire che il tasso di interesse sia pari a zero.