24 Maggio 2018

Esterovestizione societaria: il ruolo del certificato fiscale estero

di Marco Bargagli
Scarica in PDF

Come noto, l’articolo 73, comma 3, Tuir enuncia i requisiti sostanziali, alternativi tra di loro, che consentono di individuare la residenza in Italia di un soggetto non residente che si è formalmente stabilito all’estero.

In particolare per espressa disposizione normativa, le società, gli enti ed i trust sono considerati fiscalmente residenti in Italia, quando per la maggior parte del periodo d’imposta (generalmente 183 giorni o 184 in caso di anno bisestile), hanno mantenuto la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Di conseguenza, una volta accertata la residenza fiscale, il soggetto passivo riqualificato residente nel territorio dello Stato sarà assoggettato a tassazione in Italia per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in base al noto principio della tassazione su base mondiale (c.d. “world wide taxation”).

Sul punto, onde evitare fenomeni di doppia imposizione economica, i vari Stati hanno stipulato specifici accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi che, in ipotesi di “dual residence”, intervengono per dirimere i casi in cui il contribuente è considerato residente in entrambi gli Stati contraenti, conferendo prevalenza al criterio della sede di direzione effettiva, conosciuto come “place of effective management”.

In merito, l’articolo 4, paragrafo 3, del modello Ocse di Convenzione (nella versione recentemente emendata) prevede che, nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto del luogo di direzione effettiva (place of effective management), del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted)  e di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

Inoltre corre l’obbligo di evidenziare che l’Italia, formulando specifiche osservazioni all’articolo 4 del modello Ocse di Convenzione, ha introdotto una particolare riserva per effetto della quale, nel determinare la residenza fiscale di una società, oltre alla “sede della direzione effettiva”, dovrà essere attribuita estrema rilevanza anche al luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa: “25. As regards paragraphs 24 and 24.1, Italy holds the view that the place where the main and substantial activity of the entity is carried on is also to be taken into account when determining the place of effective management of a person other than an individual”.

Delineato brevemente il contesto normativo di riferimento occorre prendere atto che, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale (con riguardo, tuttavia, ai soggetti localizzati in ambito comunitario), è possibile constatare l’esterovestizione solo in presenza di strutture di puro artificio formalmente costituite all’estero (cfr. Ctp Roma, sentenza n. 1694/41/2014, Corte di Cassazione, sentenza n. 27113/2016).

Inoltre, in linea con il principio comunitario della libertà di stabilimento, sta assumendo sempre più importanza la rilevanza probatoria del certificato fiscale esibito dal soggetto non residente che svolge la propria attività in ambito UE.

In merito si cita l’orientamento espresso dalla suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1553/2012, nella quale gli ermellini, al fine di valutare la residenza fiscale all’estero di una società ritenuta esterovestita, hanno ritenuto vincolante il certificato rilasciato dalle autorità fiscali olandesi.

Più di recente, la Ctp Milano, con la sentenza n. 6814/14/2017, depositata in data 6 dicembre 2017, ha confermato l’importanza della certificazione rilasciata dalla competente Autorità fiscale estera.

L’ipotesi posta al vaglio del giudice di merito riguardava l’esterovestione di una società di diritto olandese facente parte di un Gruppo multinazionale italiano, considerata residente sul territorio dello Stato (in virtù della presunzione legale relativa prevista dall’articolo 73, comma 5-bis, Tuir).

Anche in tale circostanza è stata confermata l’inviolabilità del principio comunitario della c.d. “libertà di stabilimento”, avendo il soggetto estero provato la propria esistenza, la sede e l’attività svolta in Olanda.

Inoltre facendo riferimento alla sopra citata sentenza n. 1553/2012 emessa dal supremo giudice di legittimità, alla luce dei principi comunitari di mutuo riconoscimento e leale collaborazione tra i diversi Stati membri, è stata sancita la validità probatoria dei certificati di residenza fiscale (o di analoga certificazione) rilasciati dall’Amministrazione competente dello Stato membro di stabilimento della società, attestanti l’assoggettabilità ad imposizione all’estero.  

 

La compilazione del quadro RW 2022