8 Aprile 2014

Esserci o non esserci, questo è il problema

di Michele D’Agnolo
Scarica in PDF

 

Oggi scomodiamo nientemeno che William Shakespeare per introdurre uno dei dilemmi più difficili da gestire nella propria attività professionale, e cioè il grado di disponibilità da assicurare ai propri clienti. È evidente che in un rapporto che debba mantenere un minimo di “intuitus personae”, per definizione non può esistere una disponibilità nulla. È altrettanto lapalissiano che abbiamo delle necessità vitali e di salute che ci impediscono di essere sempre raggiungibili. Si unisca il fatto che di tanto in tanto dobbiamo anche studiare, predisporre il nostro lavoro in santa pace e anche ascoltare collaboratori e fornitori. È inoltre evidente che il tempo del professionista è una risorsa scarsa e quindi ogni forma di disponibilità deve essere adeguatamente remunerata nell’ambito dell’incarico o degli incarichi ricevuti.

L’unico modo per assicurare una teorica disponibilità continua sarebbe quello di avere un solo cliente che ci dà un solo incarico alla volta. Già servire anche una sola impresa complessa o un gruppo di imprese può comportare un conflitto di urgenze tra diverso personale di contatto, diversi dipartimenti o incarichi.

Una certa indisponibilità è quindi endemica, ineliminabile. Alcuni clienti, tuttavia, non accettano neppure questa perché ai loro occhi dovremmo immolarci totalmente. Quindi un certo grado di insoddisfazione da dover gestire, è altrettanto ineludibile.

In linea di principio, una disponibilità particolarmente ampia, come quella senza preavviso o in orari festivi o notturni, dovrebbe essere in qualche modo maggiormente remunerativa per noi e comunque più penalizzante per il cliente.

Se vogliamo evitare di essere chiamati dall’imprenditore non praticante ogni domenica mattina a fare strategie – tanto lui in chiesa non ci va – dobbiamo essere molto accorti. Ogni trasgressione dalla disponibilità standard che abbiamo inizialmente pattuito dovrebbe essere percepita dal cliente come straordinaria altrimenti se ne abituerà e da quel momento la pretenderà, dandola per scontata.

Una eccessiva disponibilità potrebbe addirittura diventare un elemento di svalutazione in termini di immagine del professionista. Chiamalo quando ti pare, tanto c’è sempre.

Alle volte tuttavia, qualche professionista sembra avere il dono della nulliquità. Neologismo coniato per sottolineare che non è cosa da poco riuscire ad essere assenti in più luoghi contemporaneamente, scontentando contemporaneamente i nostri familiari, i nostri collaboratori e i nostri clienti, magari anche più d’uno alla volta.

Se il professionista non è mai disponibile, il rapporto si svolge esclusivamente attraverso le persone di contatto all’interno della struttura.

In alcuni casi le persone di contatto hanno elaborato capacità di contatto rilevanti per cui quando cambiano studio portano con sé un piccolo stuolo di clienti.

In altri casi il cliente finisce col sentirsi un numero e se ne va a cercare o un’altra relazione più equilibrata o uno studio-supermercato dove a fronte della carenza di calore almeno il costo della prestazione è più basso.

Una delle cose più devastanti per il rapporto con il cliente è rappresentato dalla disponibilità a scatti. Promettere la richiamata e non eseguirla, dare buca ad un appuntamento senza avvisare, sono errori imperdonabili che si pagano molto cari.

Questi comportamenti generano uno stridore evidente e schizofrenico tra intenzione dichiarata e intenzione espletata. Ma come dicono i proverbi, le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e il cliente crede solo a ciò che vede. Per il cliente è tutto molto semplice: se non ci sei, vuol dire che “ci fai”.

La disponibilità effettiva da esercitare dipenderà innanzitutto dal tipo di incarichi e dal fatturato generato dal cliente. Saremo più inclini a dedicare più tempo a un cliente che ci affida un maggior numero di incarichi o commesse che contano di più nel nostro fatturato.

Dobbiamo però tener conto anche dal bisogno relazionale del singolo cliente. Abbiamo dei clienti-proteo che non vogliono mai essere relazionati, perché non ne hanno alcun bisogno e dei clienti-cucciolo che vogliono invece essere costantemente coccolati e amano stare sempre in compagnia.

Il grado di disponibilità da esercitare non sembra dipendere tanto dalla dimensione del business servito ma più dall’autostima del cliente. L’apertura relazionale da concedere può essere legata invece al grado di strutturazione dell’azienda cliente. Generalmente, se il cliente è strutturato accetta di ottenere risposte da più livelli dello studio, salvo per necessità particolari. Se il cliente è invece un artigiano o un libero professionista è più probabile che ami confrontarsi direttamente con il titolare dello studio.

La disponibilità andrà esercitata anche secondo i modelli di necessità e di agenda del cliente. Se seguiamo commercianti, vorranno vederci il lunedì mattina che i negozi sono chiusi. Se assistiamo dei piccoli industriali, vorranno vederci il sabato mattina. Se seguiamo entrambi, addio weekend lungo: lavoreremo senza sosta.

Sarà importante verificare se il nostro carico di contatto è corretto, in quanto anche il più incallito corteggiatore sa che il numero di relazioni che possiamo gestire contemporaneamente è magari alto ma è pur sempre limitato.

Se siamo bravi e fortunati nel nostro lavoro, possiamo scegliere se avere 100 clienti da vedere una volta l’anno o 10 clienti da vedere dieci volte all’anno. è evidente che un minor numero di clienti sarà più gestibile anche dal punto di vista relazionale.

Bisognerà inoltre cercare di capire se il cliente ha bisogno di un processo decisionale progressivo o una tantum, altrimenti rischieremo di sembrare frettolosi o inconcludenti ai suoi occhi.

Se il cliente si sente trascurato per la nostra scarsa disponibilità, tutti i contatti che non ottiene per via ordinaria li ottiene facendo i capricci, creando falsi problemi, o minacciando di andarsene come farebbe il più geloso degli amanti.

Generalmente, la prima cosa che succede è che rallenta i termini di pagamento. Non a caso gli inglesi chiamano il pagamento “consideration”. Anche noi, a ben vedere, utilizziamo il termine “apprezzamento”. Il cliente trascurato ci restituisce pan per focaccia: siccome noi non consideriamo lui, lui non considera noi.

Nel prossimo intervento vedremo come si può organizzare l’attività di contatto per migliorare la disponibilità reale del professionista e soprattutto quella percepita dal cliente.