18 Giugno 2025

Esenzione dalla ritenuta sui finanziamenti secondo l’approccio “Look Through”

di Marco Bargagli
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Il treaty shopping è considerato, dalla prassi operativa, come un insidioso fenomeno di elusione fiscale internazionale, mediante il quale i Gruppi multinazionali – attuando manovre di pianificazione fiscale aggressiva, mirano a sfruttare indebitamente il regime vantaggioso contenuto in una o più Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sul reddito, attraverso l’artificiosa localizzazione di una struttura economica (c.d. conduit company o società veicolo) in uno dei Paesi aderenti ad una determinata Convenzione internazionale, affinché detta struttura diventi funzionale alla fruizione delle agevolazioni previste da un trattato internazionale, altrimenti non spettanti.

L’edizione 2014 del modello Ocse di Convenzione e relativo Commentario prevede che è considerato il beneficiario effettivo dei flussi reddituali, quando il percettore dei redditi goda del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy the interest) e non sia, conseguentemente, obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto, sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).

In tale ambito, il Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza – volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionale”, pag. 333 e ss.ZC, ha individuato altre forme di pianificazione fiscale aggressiva quali, ad esempio:

  • il directive shopping”, fenomeno che si realizza quando un’entità residente in uno Stato non appartenente all’UE interpone in uno Stato membro, con il quale – di norma – lo Stato in cui risiede ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni ritenuta favorevole, un’altra entità (conduit company), al solo scopo di beneficiare, indebitamente, del regime fiscale previsto dalla disciplina dell’Unione Europea;
  • Il “rule shopping”, che consiste nella ricerca, all’interno di una Convenzione internazionale, della disposizione che comporta il minor prelievo fiscale, adeguando ad essa, quanto meno da un punto di vista formale, le operazioni economiche che si intendono porre in essere.

Con particolare riferimento al trattamento fiscale degli interessi e dei canoni (royalties), l’articolo 26-quater, D.P.R. 600/1973, introdotto dal D.Lgs. 143/2005 (in recepimento della direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003 c.d. direttiva “Interessi-Canoni”), prevede l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni (royalties) corrisposti nei confronti di soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea a condizione, tra l’altro, che il soggetto estero percipiente sia il beneficiario effettivo degli interessi e/o dei canoni.

Di contro, qualora non si possiedono i requisiti per applicare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dal citato articolo 26-quater, D.P.R. 600/1973:

  • ai sensi dell’articolo 26, comma 1, D.P.R. 600/1973, gli interessi, i premi e gli altri frutti di obbligazioni e titoli similari corrisposti a non residenti, anche se conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, sono assoggettati alla ritenuta a titolo d’imposta del 20% (ora 26%);
  • ai sensi dell’articolo 26, comma 5, D.P.R. 600/1973, i soggetti indicati nel primo comma dell’articolo 23 (ossia gli enti o le società), devono operare una ritenuta del 12,50 per cento (ora 26%) a titolo di acconto, con obbligo di rivalsa, sui redditi di capitale da essi corrisposti, diversi da quelli indicati nei commi precedenti e da quelli per i quali sia prevista l’applicazione di altra ritenuta alla fonte o di imposte sostitutive delle imposte sui redditi.

Qualora i percipienti non siano residenti nel territorio dello Stato o stabili organizzazioni di soggetti non residenti la predetta ritenuta è applicata a titolo d’imposta ed è operata anche sui proventi conseguiti nell’esercizio d’impresa commerciale.

La predetta ritenuta è operata anche sugli interessi ed altri proventi dei prestiti di denaro corrisposti a stabili organizzazioni estere di imprese residenti, non appartenenti all’impresa erogante, e si applica a titolo d’imposta sui proventi che concorrono a formare il reddito di soggetti non residenti ed a titolo d’acconto, in ogni altro caso.

Infine, in caso di royalties (canoni), i compensi percepiti per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico (di cui all’articolo 23, comma 2, lettera c), Tuir), corrisposti a non residenti sono soggetti ad una ritenuta del 30 per cento a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare (articolo 25, comma 4, D.P.R. 600/1973).

Importanti principi di diritto in tema di ritenuta alla fonte a titolo d’imposta da applicare sui finanziamenti erogati indirettamente da parte di soggetti esteri, sono stati diramati dalla suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4427/2025 pubblicata in data 20 febbraio 2025.

Nello specifico, gli ermellini hanno anzitutto confermato l’importanza del noto principio “Look Through rilevante anche ai fini dell’individuazione del beneficiario effettivo dei redditi, anche in presenza di veicoli eventualmente interposti, riconoscendo l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’articolo 26, comma 5-bis, D.P.R. 600/1973, ai finanziamenti erogati indirettamente da parte di soggetti esteri qualificati.

Sul punto, si ricorda che il citato articolo 26, comma 5-bis, D.P.R. 600/1973, prevede espressamente che “ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. La ritenuta di cui al comma 5 non si applica agli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea, enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della direttiva 2013/36/UE, (9) imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea o investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti”.

Il regime di esenzione in parola, stabilito dal più volte richiamato articolo 26, comma 5-bis postula, a parere della Corte di cassazione, l’accertamento di alcuni requisiti per la sua applicabilità; in particolare, sotto il profilo soggettivo, “il finanziamento donde originano gli interessi esentati da ritenuta dev’essere erogato a un’impresa da enti creditizi o assicurativi con le caratteristiche meglio specificate dalla norma, ovvero, e per quanto di rilievo in questa sede”, da parte di “investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria» che siano «soggetti a forme di vigilanza nei Paesi esteri nei quali sono istituiti”.

Sotto tale profilo, la società ricorrente osserva che il comma 5-bis introduce una deroga alla disciplina generale dettata dal precedente comma 5 che, come detto, prevede che siano assoggettati a ritenuta alla fonte, a titolo di imposta, i redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti e “percepiti” da soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Quest’ultima locuzione indurrebbe a ritenere che, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime di esenzione da ritenuta, si debba fare riferimento esclusivamente alle caratteristiche “percettore diretto degli interessi”.

La tesi sostenuta in giudizio risulta conforme a quanto già espresso da parte dell’Amministrazione finanziaria in alcuni documenti di prassi.

In tal senso, ad esempio, nella risoluzione n. 76/E/2019 viene affermato che “né la formulazione letterale, né la ratio della norma in esame si prestano a una lettura di tipo look through del relativo disposto”.

Inoltre, con la risposta a quesito n. 25 del 24 febbraio 2021 è stato ulteriormente specificato che “l’art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973 non consente di procedere secondo il principio del “beneficiario effettivo”, così da ricondurre il flusso di interessi esclusivamente al soggetto estero percettore finale del reddito, ma si rivolge esclusivamente alla platea di soggetti indicati nella stessa norma e aventi le caratteristiche sopra descritte”.

I giudici di piazza Cavour, nella richiamata sentenza n. 4427/2025 pubblicata in data 20 febbraio 2025, non concordano con tale impostazione.

L’articolo 11 del Modello Ocse (sostanzialmente trasfuso nella Convenzioni contro le doppie imposizioni tra l’Italia e altri Stati europei, come il Regno Unito, la Francia e la Germania, o non europei, come il Brasile e la Cina) si riferisce, infatti, agli interessi “pagati ad un residente dell’altro Stato (paid to a resident of the other Contracting State), ma subordina il riconoscimento dei benefici convenzionali al fatto che “la persona che riceve gli interessi ne sia l’effettivo beneficiario” (if the beneficial owner of the interest is a resident of the other Contracting State).

Ed invero, prosegue la Suprema Corte, è opportuno richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 26 febbraio 2019, C-115/16, C-118/16, C119/16 e C-299/16, c.d. “cause riunite danesi), condivisa dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cassazione n. 26923/2024, n. 16173/2023, n. 11191/2023 e n. 6005/2023), secondo la quale “il termine “beneficiario effettivo” non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì deve essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscale» e coincide con il soggetto al quale il reddito sia fiscalmente imputabile in forza della sua disponibilità, designando “un’entità che benefici realmente degli interessi corrispostile”, se del caso da riconoscere proprio mediante il c.d. approccio look through.

In linea con tale impostazione, la Suprema Corte di Cassazione ha inoltre sottolineato che il riferimento al beneficiario effettivo, piuttosto che al materiale percettore del reddito, costituisce una corretta applicazione del principio di capacità contributiva, affermando che relativa verifica va compiuta caso per caso, indagando su chi sia l’effettivo titolare del flusso reddituale (cfr. Cassazione n. 14756/2020), in linea con quanto previsto dall’articolo 1, Tuir, che identifica, appunto, nel possesso del reddito, inteso come materiale disponibilità del medesimo, il presupposto dell’imposizione.

D’altra parte, nel Commentario all’articolo 11, Modello OCSE si afferma espressamente che le agevolazioni convenzionali devono essere riconosciute al beneficiario effettivo degli interessi anche quando gli interessi vengano percepiti indirettamente dal beneficiario, come accade nel caso di pagamento a mezzo di intermediario (when an intermediary, such as an agent or nominee located in a Contracting State or in a third State, is interposed between the beneficiary and the payer but the beneficial owner is a resident of the other Contracting State).

In definitiva, sulla base di un approccio sostanzialistico, la Corte di Cassazione ha confermato la rilevanza del noto principio “Look Through” anche in presenza di veicoli interposti, riconoscendo l’esenzione dalla ritenuta prevista dall’articolo 26, comma 5-bis, D.P.R. 600/1973, ai finanziamenti erogati indirettamente da soggetti esteri qualificati.