3 Luglio 2014

È detraibile l’iva erroneamente addebitata all’esportatore abituale?

di Marco Peirolo
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è noto che l’esportatore abituale, per acquistare e importare beni e servizi senza applicazione dell’IVA, deve darne comunicazione al proprio fornitore attraverso la dichiarazione d’intento.

Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983, tale dichiarazione deve essere redatta in conformità al modello approvato, da ultimo, dal D.M. 6 dicembre 1986. È dato osservare che la conformità deve intendersi in senso sostanziale, cioè avuto riguardo al contenuto della dichiarazione, e non formale. In pratica, la dichiarazione resa dall’esportatore abituale è valida se riporta i dati previsti dal modello ministeriale (R.M. 17 febbraio 1988, n. 590003 e R.M. 3 ottobre 1985, n. 355668).

L’art. 1, comma 2, del D.L. n. 746/1983 dispone che il fornitore, un volta ricevuta la dichiarazione d’intento, deve:

  • numerarla progressivamente;
  • annotarla, entro 15 giorni, in apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, ovvero – ai sensi dell’art. 2, comma 3, della L. n. 28/1997 – in apposita sezione del registro delle fatture emesse o dei corrispettivi;
  • indicarne gli estremi (numero e data di emissione) nelle fatture emesse in regime di non imponibilità di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972.

Può accadere che il fornitore, a fronte della corretta numerazione in ordine progressivo delle lettere d’intento ricevute, abbia erroneamente attribuito un numero di protocollo sbagliato in sede di fatturazione.

Ipotizziamo che le ultime due dichiarazioni ricevute siano state protocollate con i numeri 35 e 36, corrispondenti, rispettivamente, ai clienti Alfa S.p.A. e Beta S.p.A., entrambi esportatori abituali.

Se alla fattura emessa nei confronti di ALFA S.p.A. è stato erroneamente assegnato il numero di protocollo 36, è verosimile che nella fattura emessa a BETA S.p.A. venga addebitata l’IVA.

Nella situazione rappresentata, la non imponibilità applicata nei confronti di ALFA S.p.A. non dovrebbe essere messa in discussione per il semplice fatto che in fattura è stato riportato il numero di protocollo sbagliato.

Per BETA S.p.A., invece, si pone il problema della detraibilità dell’imposta nell’ipotesi in cui non sia attivata la procedura di variazione in diminuzione di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.

A questo riguardo, può osservarsi che, in un primo tempo, l’Amministrazione finanziaria precludeva l’esercizio della detrazione in presenza di operazioni escluse dal campo di applicazione dell’IVA; si pensi, per esempio, alla cessione d’azienda o di un suo ramo, abusivamente “frazionata” nella cessione delle singoli componenti per evitare di pagare l’imposta proporzionale di registro (R.M. 11 ottobre 1985, n. 355550 e R.M. 7 dicembre 1983, n. 343376).

A seguito della sentenza resa dalla Corte di giustizia nel caso Genius Holding (causa C-342/87 del 13 dicembre 1989), l’indetraibilità è stata estesa, più in generale, a tutte le ipotesi in cui l’imposta addebitata in fattura non sia dovuta.

In linea con questa impostazione, la circolare dell’Agenzia delle Entrate 13 marzo 2009, n. 8 (risposta 6.9) ha ricompreso nell’ambito delle operazioni in esame, per le quali cioè la detrazione resta preclusa, le operazioni esenti. Si afferma, infatti, che “il cessionario/committente nei cui confronti il cedente/prestatore abbia erroneamente esercitato la rivalsa per un’operazione oggettivamente non soggetta ad IVA o esente, non ha titolo per esercitare il diritto alla detrazione”.

Riguardo, invece, alle operazioni non imponibili, la citata circolare considera il caso dell’esportatore abituale che riceve una fattura con IVA relativa ad un acquisto effettuato a fronte di una dichiarazione d’intento che il fornitore non ha considerato non avendola ancora ricevuta.

Secondo l’Agenzia, dal tenore letterale dell’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983 – in base al quale gli esportatori abituali hanno diritto di acquistare e importare beni e servizi senza IVA consegnando o spedendo al fornitore la dichiarazione d’intento prima di effettuare l’operazione – “si desume che l’esportatore abituale ha una facoltà (non un obbligo) di avvalersi dell’agevolazione in parola; tuttavia se l’esportatore comunica al cedente/prestatore di volersene avvalere, quest’ultimo ha l’obbligo di conformarsi alla richiesta. Peraltro, se il fornitore non ha ancora ricevuto la dichiarazione d’intento, egli è tenuto ad emettere la fattura con applicazione dell’imposta e, a sua volta, il cessionario/committente ha diritto ad esercitare la detrazione, entro i termini e nei limiti di cui agli articoli 19 e seguenti del D.P.R. n. 633 del 1972”.

È senz’altro evidente che la detrazione sia ammessa se il fornitore ha applicato l’IVA non avendo ancora ricevuto la lettera d’intento.

Più dubbio, invece, è il comportamento che deve tenere l’esportatore abituale se il fornitore ha addebitato l’imposta dopo che ha ricevuto la lettera d’intento.

In questa ipotesi, che corrisponde a quella del caso esposto, riguardante l’erronea attribuzione dei numeri di protocollo delle dichiarazioni d’intento, la detrazione parrebbe vietata. Del resto, il principio espresso dalla Corte di giustizia nella causa C-342/87, confermato nelle successive pronunce dello stesso organo, ha valenza generale, sicché non è dato distinguere tra operazioni esenti (che la circolare n. 8/E/2009 equipara alle operazioni oggettivamente non soggette a IVA) e operazioni non imponibili (che la circolare prende in considerazione in relazione soltanto allo specifico caso illustrato).