1 Agosto 2014

Doccia fredda sull’IVA in concordato dalla Corte Costituzionale. Sentenza 225/2014

di Claudio Ceradini
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Del resto, le buone notizie si contano sulle dita di una mano. Dopo che l’art.22, co. 7, del D.L. 91/2014, ha corretto lo “sfortunato” intervento legislativo interpretativo dell’art. 111 L.F. operato all’art. 11, co. 3quater del D.L. 145/2013, sul concordato piomba una nuova tegola dalla Corte Costituzionale, che con sentenza n.225 del 15 luglio 2014 si esprime su un tema altrettanto delicato ed importante, quale la possibilità di sottoporre il credito erariale per IVA e ritenute a falcidia. Ci siamo già soffermati più volte sul tema, commentando orientamenti purtroppo divergenti, soprattutto tra giurisprudenza di merito e di legittimità, cui i Tribunali con scarsa sistematicità si sono riferiti (a titolo meramente esemplificativo, Cosenza, Sezione Fallimentare, 29/05/2013 – Genova, Corte d’Appello Rep. 1326, depositata il 27/07/2013 – Padova, 3/10/2013 depositata l’11/10/2013 – Busto Arsizio n. 15/2013 del 4/10/2013, depositata il 7/10/2014). La giurisprudenza di merito, pur ondivaga, ha spesso assegnato alla transazione fiscale di cui all’art. 182ter L.F. carattere meramente processuale, discostandosi dall’orientamento di legittimità, che ha tratto origine dalle due sentenze gemelle del 2011 (22931/2011 e 22932/2011), e che le assegna al contrario valenza sostanziale. Di qui la falcidiabilità o meno, rispettivamente secondo il primo ed il secondo orientamento. Inutile sottolineare come questa condizione renda il lavoro dell’advisor che alla predisposizione del piano deve lavorare estremamente aleatorio, dovendo egli conoscere non solo la disciplina dello strumento concordatario, già di per sé tutt’altro che stabile, ma anche l’orientamento del Tribunale adito, nella speranza che non muti.

In questa situazione, complessa, il Tribunale di Verona con ordinanza del 14 aprile 2013 (iscritta al n. 25 del registro ordinanze 2014) ha sul medesimo tema evidenziato aspetti diversi e nuovi, pur condividendo nella sostanza l’impostazione “sostanzialista”. Avuto in considerazione il ruolo del Tribunale nella verifica delle condizioni di ammissibilità di una procedura concordataria, così come precisato dalla Corte di Cassazione con Sent. 1521/2013, il Tribunale di Verona evidenzia un potenziale contrasto tra l’intangibilità del debito IVA e gli artt. 3 e 94 della Costituzione. Appare contrario all’interesse dell’Amministrazione un meccanismo in cui l’automatica inammissibilità delle proposte che includano la falcidia del debito per IVA o ritenute, di fatto conduce inevitabilmente ad una liquidazione del credito medesimo, diversa da quella concordataria, e peggiorativa.

Il caso è quello di un concordato contenente una proposta ai creditori in cui l’intero patrimonio è destinato alla soddisfazione, solo parziale, del credito IVA, mentre un contributo esterno e condizionato all’omologa avrebbe costituito la provvista per la soddisfazione degli altri creditori, nella misura proposta per ogni classe. È di tutta evidenza come ogni ipotesi diversa da quella concordataria avrebbe comportato il concorso dell’intero ceto sul patrimonio, diminuendo clamorosamente la soddisfazione dell’Amministrazione Finanziaria.

La Corte Costituzionale replica negativamente, la questione di fatto pare non sussistere. Con una lunga dissertazione, di fatto conferma quello che si temeva, e cioè l’impostazione che la Corte di Cassazione aveva indicato nel 2011. Il credito IVA sarebbe assegnatario di una disciplina in ugual misura straordinaria e sconosciuta alla normativa, “attributiva di un trattamento peculiare ed inderogabile” e finalizzata ad assicurare il pagamento di un tributo in realtà assistito da un privilegio di grado postergato, in deroga al principio dell’ordine legale delle prelazioni.

Contribuisce alla posizione anche l’Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio con memoria depositata il 25 marzo 2014, e che affronta alcune delle obiezioni che più tipicamente vengono opposte a questa posizione, che vorremo definire “intransigente”. La clamorosa disparità di trattamento tra soggetti che accedono alla procedura di concordato preventivo e quelli sottoposti a fallimento, ove l’integrità del debito IVA non è nemmeno ipotizzabile, non dovrebbe stupire. Il concordato preventivo è procedura rimessa all’arbitrio dei creditori, cui non parrebbe possibile affidare le sorti del credito IVA. Diversamente il fallimento sarebbe procedura autoritativa, oltre che di carattere eccezionale (??), in cui il Tribunale autonomamente giunge alla definizione dello stato passivo. Dobbiamo concludere quindi che il privilegio dipende da chi decide, se il Tribunale o i creditori, arbitrariamente per non dire a questo punto abusivamente ….. e dobbiamo concludere anche che le procedure esecutive individuali tra soggetti in bonis sono eccezionali, consentendo la medesima falcidia.

Si preoccupa inoltre l’Avvocatura di richiamare in questo senso la Raccomandazione 272/2007 della Commissione Europea, che attiene il recupero degli aiuti di Stato erogati illegalmente (ci sfugge la connessione, onestamente), e dimentica la Raccomandazione del 12 marzo 2014, di pochi giorni antecedente il deposito della memoria, in cui la Commissione richiama ad una approccio semplificato ed efficiente della gestione delle crisi di impresa, e possibilmente poco costoso.

Senza dilungarci, potremo approfondire il tema in altra sede, ci basta evidenziare che poco comprendiamo la posizione da ultimo evidenziata dalla Corte Costituzionale. Non ci resta che affidare le speranze di una ragionevole impostazione al D.D.L. 2235, depositato presso la Camera dei Deputati giusto due giorni dopo, il 27 marzo 2014, che all’art. 2 propone una semplice quanto risolutiva integrazione dell’art. 182ter L.F., e cioè l’inserimento al primo comma, dopo le parole “ritenute operate e non versate, la proposta” della locuzione “contenente la transazione fiscale”. Ma, data la posizione dell’Avvocatura, resistono solo gli ottimisti sfrenati.