30 Dicembre 2020

Disposizioni sulle società non operative e Cfc legislation

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

La normativa conosciuta tra gli addetti ai lavori come Controlled Foreign Companies, prevista dall’articolo 167 Tuir, è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico con la chiara finalità di contrastare quelle strutture di puro artificio costituite all’estero con il solo scopo di attuare manovre di pianificazione fiscale aggressiva.

In merito, facendo anche riferimento alla recente giurisprudenza unionale (cfr. Corte di giustizia UE, sentenze pubblicate in data 26 febbraio 2019 riguardanti i c.d. “casi danesi” – cause riunite C-116/16 e C- 117/16 e cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16, C-299/16), una costruzione di puro artificio può essere individuata in un gruppo societario che non riflette una reale sostanza economica, ma risulta caratterizzato da una struttura puramente formale che ha l’obiettivo principale, ovvero uno degli obiettivi principali, il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale in contrasto con normativa tributaria applicabile.

Declinate le caratteristiche della struttura artificiosa, giova ricordare che la normativa Cfc non si applica se il soggetto residente in Italia riesce a dimostrare, presentando apposita istanza di interpello ex articolo 11, comma 1, lettera b), L. 212/2000, che l’impresa controllata estera svolge una reale attività economica, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.

Di contro, valutata l’irrilevanza delle cause disapplicative, scatta la tassazione per trasparenza dei redditi prodotti dalle CFC, qualora i soggetti controllati esteri soddisfano, congiuntamente, le seguenti condizioni:

  • sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà, rispetto a quella che avrebbero scontato qualora fossero stati residenti in Italia;
  • oltre un terzo dei proventi da essi realizzati all’estero rientra in una o più delle seguenti categorie:
  1. interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
  2. canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
  3. dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
  4.  redditi da leasing finanziario;
  5. redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
  6. proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
  7. proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente.

Ciò posto, occorre domandarci se la normativa prevista in tema di società non operative (articolo 30 L. 724/1994), sia anche applicabile per calcolare il reddito minimo presunto conseguito da parte delle società controllate estere che presentano costantemente “perdite sistematiche”.

In senso affermativo si è espressa nel tempo l’Agenzia delle entrate con specifici documenti di prassi.

La Direzione Centrale normativa, con la circolare 23/E/2011, avente ad oggetto “ulteriori chiarimenti in materia di Controlled Foreign Companies (CFC) – Risposte a quesiti”, ha dapprima sottolineato che il calcolo del tax rate (virtuale) domestico si determina partendo dall’ipotesi che la società controllata estera “non black list” sia residente in Italia.

In merito, per ragioni di semplificazione, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che tale valore deve essere calcolato applicando le disposizioni ordinariamente previste dal Tuir in materia di reddito d’impresa.

Nel citato documento di prassi è stato anche posto in evidenza che il rapporto esistente tra l’articolo 167 Tuir e la disciplina sulle società di comodo è stato esaminato nella risoluzione 331/E/2007, con la quale si è chiarito che, in caso di tassazione per trasparenza in capo al socio italiano del reddito conseguito dal soggetto controllato estero, tale reddito è determinato secondo le regole ordinarie del reddito d’impresa previste dal Tuir (…), sostanzialmente coincidenti con quelle delle imprese residenti” e “pertanto è possibile il raffronto con quello minimo presunto di cui all’articolo 30 della legge n. 724 del 1994”.

Infatti la Direzione Centrale normativa e contenzioso, nella citata risoluzione 331/E/2007, avente ad oggetto “Criteri per la disapplicazione della disciplina delle società non operative, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti di una società holding che detiene partecipazioni all’estero”, ha osservato che il reddito della CFC (controlled foreign company) è determinato secondo le regole ordinarie del reddito d’impresa previste dal Tuir, salve le peculiarità indicate al comma 6 del citato articolo 167 e all’articolo 2 del D.M. 21 novembre 2001, n. 429. Poiché le modalità di determinazione del reddito di tali imprese sono sostanzialmente coincidenti con quelle delle imprese residenti, alla holding residente che ha partecipazioni CFC è imputato un reddito determinato in via ordinaria e pertanto è possibile il raffronto con quello minimo presunto di cui all’articolo 30 della legge n. 724 del 1994”.

In buona sostanza, l’applicazione della normativa prevista per le società non operative consentirà ai verificatori di determinare quantomeno un reddito minimo presunto da assoggettare a tassazione, nella particolare ipotesi in cui la controllata estera disponga di ingenti beni iscritti in bilancio (es. immobili, aeromobili, natanti etc.), reali indicatori di capacità contributiva nonostante consegua, sistematicamente, una perdita d’esercizio.