22 Giugno 2017

Disapplicazione CFC white list solo in presenza di strutture operative?

di Marco Bargagli
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Nell’ambito di una capillare strategia di contrasto agli arbitraggi fiscali internazionali, con l’articolo 13 del D.L. 78/2009 (convertito con la L. 102/2009), a partire dall’esercizio 2010, il legislatore ha apportato radicali novità alla normativa CFC estendendo, a determinate condizioni, la tassazione per trasparenza dei redditi conseguiti dalle società controllate estere, non necessariamente residenti in paradisi fiscali (c.d. white list passive income companies).

La novella normativa è stata introdotta in ossequio alle raccomandazioni formulate dalla Commissione Europea [COM (2007) 785 DEF del 10 dicembre 2007], con il precipuo scopo di “rivedere le loro norme antielusione” con particolare riferimento ai soggetti che operano all’estero mediante strutture di puro artificio comportando l’introduzione, nel nostro ordinamento tributario, dei commi 8-bis e 8-ter dell’articolo 167 del D.P.R. 917/1986.

Infatti, la tassazione per trasparenza CFC white list trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i soggetti controllati esteri siano localizzati in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata, ossia in Stati appartenenti all’Unione europea ovvero a quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia ha stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, qualora ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni:

  • siano assoggettati a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia;
  • abbiano conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie (interessi attivi), dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica (royalties), nonché dalla prestazione di servizi resi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente (rapporti infragruppo).

Per espressa disposizione normativa, ai sensi dell’articolo 167, comma 8-ter, del D.P.R. 917/1986, la tassazione CFC non si applica se il soggetto residente in Italia (casa madre) dimostra che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.

Tenuto conto che, per effetto delle disposizioni introdotte dal “decreto internazionalizzazione e crescita imprese” l’interpello non è più obbligatorio, il contribuente attualmente “può” comunque interpellare l’Amministrazione finanziaria per ottenere un parere preventivo circa la eventuale disapplicazione della tassazione CFC.

Sullo specifico punto, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 51/E/2010 ha fornito, a titolo esemplificativo, alcuni indicatori che consentono di qualificare la controllata estera come una struttura di “puro artificio”.

Gli indicatori di puro artificio, sono stati individuati facendo riferimento alla Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea sul coordinamento delle norme sulle società estere controllate (SEC) e sulla sottocapitalizzazione nell’Unione europea datata 8 giugno 2010 e, generalmente, sono riferiti alle seguenti fattispecie:

  • insufficienza di motivi economici o commerciali validi per l’attribuzione degli utili, che pertanto non rispecchia la realtà economica;
  • costituzione giuridica che non risponde essenzialmente a una società reale intesa a svolgere attività economiche effettive;
  • inesistenza di correlazione proporzionale tra le attività apparentemente svolte dalla CFC e la misura in cui tale società esiste fiscalmente in termini di locali, personale e attrezzature (riferimento alla struttura materiale);
  • sovra-capitalizzazione della CFC, ovvero quando la stessa dispone di un capitale nettamente superiore rispetto a quello di cui ha bisogno per svolgere la propria attività;
  • presenza di transazioni prive di realtà economica, aventi poca o nessuna finalità commerciale o che potrebbero essere contrarie agli interessi commerciali generali se non fossero state concluse a fini di evasione fiscale.

Con specifico riferimento alle “attività immateriali”, la circolare dell’Agenzia delle Entrate 51/E/2010, al punto 5.2., ha precisato che occorre valutare ulteriori e più specifici elementi di prova volti a dimostrare la non artificiosità della controllata estera, tenuto conto della peculiare attività esercitata.

A parere di chi scrive, anche sulla scorta delle indicazioni fornite dalla circolare 51/E, la struttura di puro artificio non svolge alcuna attività economica, ma è stata costituita al solo scopo di porre in essere politiche di pianificazione fiscale aggressiva.

Tale società, normalmente:

  • non possiede dipendenti, né alcuna struttura materiale (uffici, attrezzature ed automezzi) ed è sovente domiciliata presso uno studio legale estero;
  • viene gestita da un altro Paese ove sono situati gli amministratori di fatto, mentre nel luogo di residenza formale è situata solo la sede legale della medesima entità giuridica;
  • risulta essere molto sotto-capitalizzata, con un capitale sociale sottoscritto e versato di pochi euro;
  • risulta eccessivamente sovra-capitalizzata, altro elemento che risulta poco coerente in funzione della esigua attività economica posta in essere.

In definitiva, dimostrando l’assenza di intenti elusivi e l’esercizio di una reale attività economico-imprenditoriale svolta all’estero, la tassazione per trasparenza CFC non sarà operata.

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