4 Gennaio 2023

Dichiarazioni integrative e minor credito per annualità precedenti

di Francesco Paolo Fabbri
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La scheda di FISCOPRATICO

È noto agli operatori che, successivamente alla presentazione della dichiarazione dei redditi (così come Irap, Iva e del sostituto d’imposta), risulta possibile trasmettere un ulteriore modello, che dà luogo alla dichiarazione integrativa.

Cosa che può avvenire, nello specifico, entro i termini previsti per l’esercizio dell’azione di accertamento tributario, come stabilito con la modifica recata dall’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), D.L. 193/2016.

Tuttavia, oltre agli aspetti sostanziali – relativi alla validità della dichiarazione integrativa, alle modalità di utilizzo degli eventuali crediti che ne derivino in maniera superiore rispetto al modello “originario” eccetera – all’ambito della dichiarazione integrativa si ricollega anche il tema delle sanzioni applicabili, tipicamente riconducibili all’ambito delle infedeltà dichiarative, disciplinate dall’articolo 1, commi 2 e seguenti del D.Lgs 471/1997.

Norma, quest’ultima, che stabilisce una penalità che va dal 90 al 180% nei casi in cui “nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante”.

Detta sanzione si applica poi:

  • sulla maggiore imposta dovuta, nel caso di integrativa c.d. “a debito”, oppure
  • sulla quota del minor credito utilizzato, per le integrazioni “a credito”.

Ed è proprio rispetto alla fattispecie delle integrative “a credito”, ossia di quelle che comunque non presentano debiti d’imposta per il dichiarante (a prescindere dal fatto che il credito che scaturisce dalla dichiarazione successiva alla prima sia superiore o inferiore a quello relativo al precedente modello dichiarativo), che si pongono alcune questioni interpretative.

La prima delle quali è rappresentata dal fatto che la disciplina in esame, applicabile a decorrere dal 01/01/2016 ex articolo 32, comma 1, D.Lgs. 158/2015 di “riforma delle sanzioni”, differisce da quella precedente all’articolo 15, comma 1, lettera a) dello stesso D.Lgs 158/2015, che collegava la sanzione del 90-180% alla mera “differenza del credito”: sostanzialmente, prima del 2016 ogni ipotesi di integrativa recante un minor credito era sanzionata così come le dichiarazioni successive alla prima che rappresentavano un maggior debito, rendendo evidente come la norma attuale si sostanzi in un favor per il contribuente.

È infatti chiaro che, nelle casistiche di dichiarazione a credito, la penalità va determinata sulla sola parte del beneficio fiscale, derivante dalla dichiarazione integrativa, che al contempo:

  • sia inferiore a quello risultante dalla dichiarazione originariamente presentata, e
  • sia stata effettivamente utilizzato.

Quindi sanzione che va comminata sulla differenza tra il credito inizialmente dichiarato e quello successivamente rettificato in sede di integrativa, verificando la quota di cui il contribuente ha concretamente beneficiato – utilizzandolo in compensazione (orizzontale o verticale), ottenendolo a rimborso o, eventualmente, cedendolo a terzi.

Ragion per cui in tutte le ipotesi nelle quali il credito indicato dal dichiarante con la prima dichiarazione, e poi rettificato, non ha trovato effettiva compensazione a favore del dichiarante, esso non sarà di fatto sanzionabile.

Quanto rappresentato ha poi conseguenze anche in relazione al ravvedimento operoso, posto che le riduzioni previste vanno parimenti applicate alla sanzione determinata considerando solamente il maggior credito utilizzato.

Ciò, lo si ribadisce, diversamente da quanto accade per le dichiarazioni integrative che riportano un (maggior) debito, sanzionate rispetto all’intero ammontare della maggiore imposta risultante dal successivo modello dichiarativo – anche in caso di ravvedimento.

Per le dichiarazioni a credito sorge però una criticità, riguardante l’ipotesi in cui l’integrativa venga trasmessa in periodi d’imposta successivi a quello di maturazione del credito, ipotesi nella quale vi sono conseguenze sull’utilizzo del credito, specificamente rispetto alla sua origine.

Volendo proporre un esempio, se il credito derivante dalla dichiarazione – in parte indebito, in quanto la successiva integrativa che lo riduce – viene utilizzato diversi anni dopo rispetto al momento di presentazione dell’originaria dichiarazione, si può riflettere sulla modalità con cui procedere per determinare in modo corretto la sanzione vista in precedenza.

La questione nasce dal fatto che il credito d’imposta si rinnova di anno in anno con la presentazione della dichiarazione del periodo successivo, senza alcun un fenomeno di “stratificazione” del credito (risposta n. 18 in sede di Telefisco 2020), motivo per cui, ad ogni presentazione della dichiarazione annuale, lo stesso risulterà rinnovato – e non invece “targato” a livello di annualità.

Pertanto, se la violazione è avvenuta in un determinato anno di riferimento, poi superato (al pari del relativo credito), ci si può domandare come calcolare la sanzione applicabile per il “maggior credito utilizzato”.

È in questo contesto evidente come, in simile contesto, non si possano utilizzare le alternative di cui ai sistemi di valorizzazione dei beni a rimanenza – LIFO, FIFO eccetera – in considerazione della divergenza concettuale rispetto all’ambito contabile.

Si ponga quindi il caso di un contribuente che, per l’anno 2019, presenta una dichiarazione da cui emerge un credito pari ad euro 1.000, successivamente ridotto ad euro 500 a seguito di integrativa a sfavore, sempre a credito, presentata nel corso del 2022 per l’anno di riferimento, con il contribuente che, in seguito, trasmette altresì le dichiarazioni per i successivi periodi, evidenziando:

  • per il 2020 un credito annuo di euro 200, cui si somma il credito (allora) risultante per il 2019, pari ad euro 1.000 – totale credito di euro 1.200 per il 2020;
  • per il 2021 un credito periodico di euro 350, al quale si aggiunge l’importo del credito (allora) risultante per il 2020, pari ad euro 1.200 – totale credito di euro 1.550 per il 2021.

Inoltre, nel corso del 2022 – a seguito della presentazione della citata dichiarazione integrativa per il 2019 – il contribuente procedeva con la compensazione di euro 400 di credito, riconducibili all’ultimo modello dichiarativo (2021), che si è detto riportare un credito di euro 1.550.

Vista la successiva presentazione dell’integrativa per il 2019, che riduce la misura del credito per il medesimo anno di euro 500, l’utilizzo del credito nel 2022 per lo stesso importo a quale “porzione” di credito si deve ritenere correttamente riferibile?

La domanda non è casuale, posto che la sola riconducibilità del credito all’importo maturato per il 2019 porterebbe a dovere corrispondere la sanzione per il suo indebito utilizzo: diversamente, volendo considerare – forse correttamente – la somma di credito compensata (euro 500) come riportabile al credito risultante dall’ultima delle dichiarazioni presentate (2021) nessuna sanzione risulterebbe irrogabile.

Quanto detto nella misura in cui la dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2021 presenta un totale di credito perfettamente capiente rispetto all’utilizzo del credito per euro 400 avvenuto nel 2022, anche in seguito alla riduzione dell’originario credito per il periodo 2019.

Motivo per cui si ritiene corretto, in considerazione dei crediti stratificati nei successivi anni 2020 (euro 200) e 2021 (euro 350), non irrogare alcuna sanzione per la quota di beneficio fiscale fatto proprio dal contribuente mediante la compensazione, la quale comunque avrebbe potuto essere utilizzata anche senza il complessivo importo del credito del 2019 – finanche assumendolo pari a 0.

Pare comunque evidente come in tutti i casi riconducibili a quanto si è appena visto, laddove vi sia stato un utilizzo del credito derivante da una dichiarazione successivamente integrata, può sussistere un oggettivo problema nella quantificazione della penalità applicabile, potendo perciò evidenziarsi un chiaro difetto di sistematicità nell’attuale simile sistema di determinazione della sanzione, che fa appunto riferimento all’effettivo “utilizzo” del credito: la pena dovrebbe invece essere più correttamente determinata, come accadeva prima della modifica di cui al D.Lgs 158/2015, sulla differenza nella quota di imposta a credito, figurando il versamento/utilizzo come tematica successiva – la quale non pare avere molto a che vedere con il versante sanzionatorio.

Commessa la violazione sull’ammontare del credito, la sanzione andrebbe quindi irrogata a prescindere dal fatto che lo stesso sia stato o meno utilizzato, evitando in questo modo agli operatori problemi di qualsiasi genere.