28 Giugno 2022

Dichiarazioni d’intento, ius superveniens e proporzionalità della sanzione

di Gabriele Damascelli
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In caso di omesso invio nei termini previsti o di inoltro con dati incompleti o inesatti all’Agenzia delle Entrate, da parte del cedente/prestatore, della dichiarazione d’intento ricevuta dal cessionario/committente, esportatore abituale, di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’Iva, relativamente ad operazioni poste in essere nell’anno 2006, ai sensi dell’articolo 7, comma 4-bis, D.Lgs. 471/1997, vigente rationae temporis, è applicabile la sanzione dal cento al duecento per cento dell’imposta in capo al primo soggetto.

Tale disposizione sanzionatoria costituisce una violazione formale, non già meramente formale, pur non incidendo sulla determinazione dell’imponibile o dell’imposta, comportando comunque un pregiudizio all’attività di accertamento, dal momento che l’obbligo di comunicazione della dichiarazione d’intento “si correla all’esigenza di consentire un efficace controllo sull’applicazione della disciplina in tema di Iva e, in particolare, del regime di riscossione dell’imposta” relativa ad operazioni di cessione intra-Ue o in export, rivelando l’inosservanza di un obbligo dichiarativo idoneo ad ostacolare l’attività di controllo.

Queste le argomentazioni della Cassazione nella sentenza n. 19065 del 14.06.2022 che ha rinviato alla Commissione tributaria regionale al fine sia dell’applicabilità del ius superveniens evidenziato dal giudice di secondo grado sia, per quel che più conta, della compatibilità del sistema sanzionatorio interno ai principi unionali espressi dalla Corte di Giustizia.

Ai fini della rilevanza del ius superveniens si riferisce che la Corte, nel precedente n. 19738 del 12.07.2021, pur senza soffermarsi sull’argomento della “compatibilità unionale” del sistema sanzionatorio interno, ha in ogni caso compiuto una pregevole ricognizione della disciplina sanzionatoria relativa al mancato invio/mancato riscontro da parte del fornitore dell’avvenuta presentazione per via telematica all’Agenzia delle entrate della dichiarazione d’intento dell’esportatore abituale, a fronte di un impianto normativo che ha visto numerose modifiche nel tempo al D.Lgs. 471/1997, in particolare all’articolo 7, comma 4-bis.

Nella causa n. 19738/2021 la Corte, preso atto dei plurimi interventi normativi che, nelle more di quel giudizio ed analogamente a quanto si evince nel precedente n. 19065/2022, hanno interessato la disciplina sanzionatoria in oggetto, incidendo, in termini obbiettivi, non solo sulla sanzione ma anche su elementi strutturali dell’illecito, ha indagato se, per effetto delle modifiche, si fosse verificata un’ipotesi di abolitio piuttosto che una successione di norme e, in questo caso, quale fosse la disciplina più favorevole.

La Corte, nella causa n. 19738/2021, esaminando l’introduzione nel campo sanzionatorio del principio del favor rei di stampo penale da parte dell’articolo 3 D.Lgs. 472/1997, giunge ad evidenziare che, nel rapporto di specialità tra le distinte versioni dell’articolo 7 D.Lgs. 471/1997, non si riscontra un’integrale abolizione nella misura in cui “la fattispecie prevista dalla legge successiva rientrava già nell’ambito di quella precedente”.

In tal modo, prosegue, si deve riconoscere un fenomeno successorio quando, all’esito della comparazione e del raffronto tra gli elementi strutturali delle fattispecie incriminatrici, persiste, anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni, ed il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile nel suo nucleo essenziale ad una diversa e più mite categoria d’illecito.

Osserva, condivisibilmente, che è rimasto immutato “nonostante tutte le modifiche” l’obbligo di inviare all’Ufficio la dichiarazione di intento, la cui mancanza è “tuttora” oggetto di sanzione.

Ciò che cambia è il soggetto obbligato.

Mentre fino al 2014 era il fornitore (cedente o prestatore), con la novella, a partire dal 1.1.2015 l’obbligo cade direttamente sull’esportatore mediante invio telematico all’Agenzia delle Entrate.

Di contro il fornitore, ormai sgravato dell’invio della dichiarazione ma egualmente destinatario della stessa da parte dell’esportatore, è tenuto a riscontrare telematicamente il suo avvenuto invio all’Ufficio da parte del committente/cessionario, ciò a pena di sanzione.

Viene evidenziato che tanto il fatto quanto la sanzione (fatte salve le sue modifiche nel tempo) “sono

rimasti inalterati nel passaggio dall’una all’altra normativa”, adottandosi da parte del legislatore esclusivamente una diversa modalità di adempimento degli oneri che, lato fornitore, hanno evidenziato solo una riduzione degli adempimenti a suo carico e non già una loro eliminazione.

Le numerose modifiche sono quindi espressione di una successione di norme, tra loro in rapporto di continenza, evidenziata dall’area di coincidenza tra le fattispecie, poste tra loro in una sostanziale continuità strutturale, “per essere gli elementi costitutivi previsti dalla nuova disciplina già tutti compresi in quella precedente”.

Discorso a parte quello della compatibilità delle sanzioni interne rispetto ai principi unionali, argomento opportunamente evidenziato al giudice di secondo grado come essenziale da parte della Cassazione nella sentenza n. 19065/2022.

In materia la Corte di Giustizia si è espressa più volte, da ultimo nel caso Grupa Warzywna Sp. zo.o. in C-935/19 del 15.04.2021, nel quale il giudice comune chiedeva alla Corte UE se i principi di proporzionalità e di neutralità dell’Iva ostassero o meno alla normativa polacca che poneva a carico di un soggetto passivo, che aveva erroneamente qualificato un’operazione esente da Iva come operazione soggetta, una sanzione automatica pari al 20% dell’importo, prescindendo dalla natura e dalla gravità dell’irregolarità nonché dall’assenza di indizi di frode o di perdite di gettito fiscale per l’Erario.

La Corte UE ha lì osservato (v. i punti 34 e 35) che tali modalità di determinazione non hanno consentito alle autorità tributarie di adeguare l’importo della sanzione in funzione delle circostanze concrete del caso di specie, risultando questa “automatica”, ed impedendo ai verificatori di assicurarsi che quest’ultima non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e nell’evitare l’evasione (v. tra i tanti anche C-712/17, caso EN.SA. Srl, punti 37 e ss., nonché C-564/15, caso Tibor Farkas, punti 58 e ss.).

Sempre in tema di proporzionalità, ed in conclusine, la Corte UE in C-655/18 nel caso Teritorialna direktsia, alla domanda se l’articolo 42, par. 1, del Regolamento Ue n. 952/2013 (Codice doganale  dell’Unione) ostasse o meno ad una norma nazionale in forza della quale, in caso di sottrazione alla vigilanza doganale di merci vincolate al regime di deposito doganale, il titolare dell’autorizzazione per il deposito doganale era tenuto a pagare, oltre ad una sanzione pecuniaria, un importo corrispondente al valore di tali merci, ha ritenuto tale sanzione sproporzionata, in quanto eccedente i limiti di quanto è necessario per garantire, nel caso specifico, che le merci in regime di deposito doganale non siano sottratte alla vigilanza doganale.