9 Aprile 2019

Destinazione doganale “a posteriori” anche per i servizi internazionali

di Marco Peirolo
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In un precedente articolo, è stata commentata la sentenza resa nella causa C-275/18 del 28 marzo 2019 (Milan Vinš), con la quale la Corte di giustizia UE ha fornito la propria interpretazione dell’articolo 146, par. 1, lett. a), Direttiva 2006/112/CE, che impone agli Stati membri di esentare da Iva “le cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o per suo conto, fuori della Comunità.

La Corte ha affermato che l’esenzione non può essere subordinata alla condizione, prevista dalla norma nazionale (nella specie, ceca), che i beni siano stati vincolati al regime doganale dell’esportazione se il cedente è in grado di dimostrare che sono usciti dal territorio dell’Unione.

Le cessioni all’esportazione, infatti, assumono rilevanza agli effetti dell’Iva in funzione delle caratteristiche oggettive che le contraddistinguono, per cui, se le condizioni sostanziali previste dalla norma unionale sono soddisfatte, la detassazione accordata all’operazione non può essere negata in dipendenza di una condizione formale non rispettata, qual è appunto quella relativa al vincolo dei beni al regime doganale dell’esportazione.

Con tale conclusione, i giudici dell’Unione hanno inteso tutelare il principio di proporzionalità in rapporto alla previsione dell’articolo 131 Direttiva 2006/112/CE, secondo cui “le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 [al cui interno si colloca quella in esame] si applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”.

In altri termini, la condizione del vincolo doganale dei beni, per quanto finalizzata ad evitare evasioni e abusi, è illegittima se assume carattere inderogabile, anche, cioè, quando l’operatore, come nella fattispecie, era in grado di dimostrare che i beni avevano effettivamente lasciato il territorio dell’Unione.

Nell’articolo di commento della sentenza, è stato osservato che le considerazioni svolte dai giudici europei hanno una portata che travalica il caso materiale, coinvolgendo – nella disciplina italiana – anche l’ambito applicativo della non imponibilità prevista dall’articolo 9 D.P.R. 633/1972 per i servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, definiti positivamente in funzione di una matrice di carattere doganale.

Il riferimento è ai servizi di trasporto, spedizione, intermediazione, ecc. di beni in esportazione e in importazione, rispetto ai quali la prassi amministrativa richiede, tassativamente, il vincolo al corrispondente regime doganale, in forza di un orientamento che andrebbe, quindi, rivisitato alla luce della pronuncia in apicibus.

Si considerino, per esempio, i servizi di intermediazione, che l’articolo 9, comma 1, n. 7), D.P.R. 633/1972 qualifica come non imponibili ai fini Iva se “relativi a beni in importazione, in esportazione o in transito (…), nonché quelli relativi ad operazioni effettuate fuori del territorio della Comunità”.

In un primo tempo, l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito che la non imponibilità di cui all’articolo 9, comma 1, n. 7), D.P.R. 633/1972 trova applicazione non solo nei rapporti di intermediazione direttamente intercorrenti tra le ditte estere e i propri agenti in Italia, ma per ogni prestazione del genere resa in dipendenza di una cessione di merci estere, effettuata prima dello sdoganamento, ancorché intervenuta tra due operatori economici residenti nello Stato” (risoluzione 12 giugno 1973, n. 533201).

Nei successivi interventi in materia è stato puntualizzato che il trattamento agevolato “può essere riconosciuto soltanto se le intermediazioni siano direttamente riferibili a beni che, all’atto dell’effettuazione delle prestazioni, abbiano già ricevuto una delle suddette destinazioni doganali” (risoluzione 30 giugno 1980, n. 420248; risoluzione 1° ottobre 1981, n. 371951; risoluzione 17 novembre 1984, n. 426768). Ciò significa che non ricorre la condizione di applicabilità del beneficio se il corrispettivo della prestazione di intermediazione relativa ai beni in importazione viene pagato al momento della partenza della merce dal Paese extra-UE.

Alla luce della sentenza di cui alla causa C-275/18, la possibilità di dimostrare che i beni abbiano ricevuto una delle suddette destinazioni doganali andrebbe, tuttavia, ammessa anche “a posteriori, cioè dopo il momento di effettuazione dell’intermediazione se l’operatore è in grado di dimostrare che la prestazione si riferisce a beni che saranno esportati, importati o movimentati in regime di transito, ancorché al momento di effettuazione dell’operazione non abbiano ancora ricevuto una delle suddette destinazioni.

Del resto, la stessa Amministrazione finanziaria, intervenendo in materia di acconti all’esportazione, ha precisato – privilegiando la sostanza sulla forma – che i pagamenti anticipati beneficiano della non imponibilità prevista dall’articolo 8 D.P.R. 633/1972 anche se i beni saranno inviati al di fuori del territorio unionale dopo l’emissione della fattura d’acconto, in quanto giuridicamente e direttamente dipendenti dal contratto avente ad oggetto la cessione di beni all’esportazione (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 1° dicembre 2008, n. 456).

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