14 Novembre 2013

Derogabili le regole della soccida

di Luigi Scappini
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Di recente la
Corte di Cassazione, con due sentenze, la n. 19738 del 28 agosto e la n. 24914 del 6 novembre si è occupata del contratto di soccida, disciplinato dall’art. 2170 e seguenti del codice civile, in termini di abuso del diritto.

Preliminarmente definiamo il contratto in oggetto che, ai sensi del sopra richiamato articolo è definito come il contratto in base al quale “… il soccidante ed il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano”.

Il contratto di soccida è, alla luce della sua collocazione nel contesto del codice civile, un contratto agrario associativo. Tale affermazione è corroborata dalla circostanza che il contratto è necessariamente di tipo bilaterale, caratteristica propria dei contratti agrari associativi e che rappresenta una degli elementi di differenziazione rispetto al contratto societario.

Le parti sono il soccidante, che è il socio di capitale e il soccidario che conferisce sempre, ma non soltanto, lavoro.

Proprio i conferimenti rappresentano il discrimine per differenziare le varie tipologie, nello specifico tre, di soccida previste dal Legislatore.

Nella soccida semplice (artt. 2171-2181 codice civile), come anticipato, il soccidante conferisce (in godimento e non in proprietà) il bestiame che, per ovvi motivi, viene stimato, individuandone numero dei capi, razza, qualità, sesso, peso, età e relativo prezzo sul mercato. L’operazione si rende necessaria per avere un valore iniziale ai fini della successiva determinazione dell’accrescimento del bestiame. Come detto, il soccidario conferisce il lavoro che consiste nella custodia e allevamento del bestiame e nella lavorazione dei prodotti ottenibili dallo stesso. Nel caso in cui ai fini del corretto espletamento della prestazione il soccidario necessiti di aiuto potrà chiedere supporto, previa autorizzazione del soccidante, a soggetti terzi. La famiglia del soccidario può, al contrario, essere lei stessa parte del contratto di associazione in essere.

Nella soccida parziaria (artt. 2182 – 2185 codice civile), di contra, il bestiame viene conferito da entrambi le parti del contratto e, in questo caso, si determina una comproprietà, e non come visto precedentemente, un godimento da parte del soccidario. La comproprietà rifletterà i quantitativi conferiti dalle parti. Simile a tale forma aggregativa è la coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi di cui all’articolo 33, comma 2-bis del Tuir.

Resta inteso che i due tipi contrattuali hanno differenze nette tra di loro, in primis la circostanza che nella soccida il Legislatore mette in capo al soccidario il rischio d’impresa, circostanza che al contrario non sussiste per quanto riguarda la coltivazione di vegetali per conto terzi.

Ultima tipologia di soccida è quella con conferimento di pascolo (art. 2186 codice civile) dove il soccidante conferisce il pascolo, mentre lavoro e bestiame sono di competenza del soccidario. Si evidenzia come nella soccida semplice e in quella parziaria nulla si dica in merito a chi competa il conferimento del pascolo, di modo che si ritiene che tale elemento contrattuale possa essere liberamente pattuito tra le parti.

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 19738 del 28 agosto 2013 ha affermato che non si è in presenza di un contratto simulato, nel caso di specie di soccida semplice, allorquando al suo interno sia previsto una pattuizione che garantisce al soccidario il mangime corrisposto integralmente dal soccidante. Infatti, tale previsione non sembra introdurre nel contratto un elemento capace di inficiare la funzione economico-sociale del tipo negoziale, normativamente correlata alla ripartizione tra gli associati dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano semmai contribuendo a rappresentare la reale funzione pratica che le parti hanno inteso perseguire attraverso l’utilizzo dello schema contrattuale della soccida, modulato in relazione ai rapporti economici che le stesse parti intendevano regolare secondo i rispettivi interessi attraverso la previsione che il mangime fosse conferito dal soccidante.

Abbiamo visto come scopo del contratto sia l’accrescimento del bestiame che, quindi, sarà oggetto di riparto. Infatti, ai sensi dell’articolo 2181 codice civile, al termine del contratto, che ai sensi dell’articolo 2172 codice civile, ma il cui principio è estendibile anche per la soccida parziaria e per quella con conferimento di pascolo, è pari a 3 anni, si procederà a una nuova stima e poi il soccidante preleverà i capi corrispondenti a quanto stimato in sede di conferimento. L’accrescimento sarà ripartito in ragione di norme corporative, usi e convenzioni, nulla dicendo il codice civile. Il riparto non si avrà, di norma, nella soccida parziaria, ove interverrà solamente se le quote di riparto dell’accrescimento non sono coincidenti con quelle del conferimento originario. Proprio in tema di riparto, con la recente sentenza n. 24914 del 6 novembre 2013, i giudici di legittimità hanno affermato, in continuità con la precedente n. 5613 dell’8 settembre 1999, che la ripartizione dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili rappresenta solo il normale bilanciamento eco­nomico dei rispettivi interessi, sicché le parti possono, nella loro autonomia, stabilire un diverso regime senza alterare la natura associativa del rapporto.

In tal senso, ad esempio, è ammessa l’attribuzione di acconti sull’accresci­mento, senza che si sia in presenza di un contratto simulato.