7 Ottobre 2020

Demolizioni con ristrutturazione e ampliamento: Iva ridotta e detrazioni fiscali?

di Roberto Curcu
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

Con la risposta ad interpello n. 390 del 23 settembre 2020 l’Agenzia delle Entrate aveva fornito risposta ad un quesito che verteva sul regime Iva dei lavori di ristrutturazione con ampliamento di un edificio destinato a centro di ricerca, ed ubicato in area portuale, commentato con la nostra notizia del 24 settembre (“Disciplina Iva delle ristrutturazioni con ampliamento”).

Con il richiamato contributo avevamo anche illustrato quello che, a nostro avviso, è il regime Iva delle operazioni di ripristino dei fabbricati che prevedono la completa demolizione degli edifici esistenti, e la loro ricostruzione; ricostruzione che può seguire fedelmente le caratteristiche della costruzione esistente o può avere delle modifiche, quali la ricostruzione con una diversa sagoma o una diversa volumetria.

Con la risposta ad interpello n. 446 di ieri è stato analizzato un caso, ed è stata individuata la risposta, facendo riferimento ad una recente modifica normativa, introdotta con il c.d. “Decreto semplificazioni”, avente ad oggetto le demolizioni seguite da ricostruzione con maggiori volumetrie.

La questione, prima che fiscale, è urbanistica, in quanto è dalla qualificazione di tale intervento che discende poi il regime fiscale dell’operazione.

In particolare, se l’intervento è qualificato come di ristrutturazione, è applicabile sempre l’aliquota Iva del 10%, mentre, se l’intervento è qualificabile come nuova costruzione, è applicabile l’aliquota Iva propria del tipo di edificio in costruzione (ad esempio 4% per prima casa o 22% per  uffici, capannoni, ecc..). Inoltre, se l’intervento è qualificato come di ristrutturazione, si può accedere alle numerose agevolazioni (50%, 65%, 110%, ecc…).

Prima di tutto, quindi, è necessaria una premessa da un punto di vista urbanistico.

In dottrina si ritiene che l’urbanistica sia una materia di competenza legislativa regionale, ed infatti molte regioni e le province autonome vantano una propria legislazione; tuttavia, a livello nazionale, attualmente è in vigore il D.P.R. 380/2001, che è il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, e che ha “inglobato” le norme previste dalla vecchia L. 457/1978. Quest’ultima legge è conosciuta dai “fiscalisti”, in quanto è richiamata dal Decreto Iva per individuare gli interventi con aliquote ridotte.

Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha in più occasioni rimarcato che il rinvio alla L. 457/1978 disposto dalla Tabella Iva deve fare riferimento alle disposizioni del D.P.R. 380/2001, come modificate nel corso degli anni.

Inoltre, poiché i titoli abilitativi sono rilasciati in base alla legislazione locale (della Regione o della Provincia Autonoma), è stato correttamente precisato, con risoluzione 460061/1987, che per individuare il corretto trattamento Iva, deve essere fatto riferimento a come sarebbe qualificabile l’intervento secondo la normativa urbanistica nazionale; ciò in quanto non sarebbe ammissibile un diverso trattamento IVA dello stesso intervento effettuato in regioni diverse.

Le norme urbanistiche tendono in linea generale alla tutela del territorio e delle persone impegnate nei lavori, ed in genere, più gravosi sono i lavori, più gravosi sono gli adempimenti previsti con il comune di competenza; si va quindi dalle “opere libere”, a quelle che richiedono veri e propri permessi preventivi.

In particolare, le opere più gravose sono quelle di costruzione, le quali richiedono che i nuovi edifici rispettino le disposizioni urbanistiche in vigore (altezze, volumi, sagome, distanze dai confini, dalle strade, dagli edifici confinanti, parcheggi, fonti di produzione di energia rinnovabile, ecc…), e per i quali è dovuto un onere di concessione. Gli interventi di recupero (manutenzioni ordinarie, straordinarie, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazioni edilizie), non prevedono invece nulla di quanto appena richiamato.

Da sempre si è dibattuto su come inquadrare gli interventi di demolizione con ricostruzione. Originariamente, gli stessi erano sempre inquadrati come interventi di nuova costruzione, con la conseguenza che imprese e progettisti cercavano di evitarli, magari facendo demolizioni parziali, con possibili rischi in sede di effettuazione di lavori (si pensi alla conservazione di un solo lato di un edificio).

La norma urbanistica venne in un primo momento modificata, prevedendo che sono considerati interventi di ristrutturazione (e quindi non di nuova costruzione), quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente.

La norma venne poi modificata ulteriormente, prevedendo che, per mantenere il concetto di ristrutturazione, è sufficiente il mantenimento della stessa volumetria, potendo modificarsi la sagoma; con risposta a question time del 22/01/2014 venne considerato intervento di ristrutturazione la ricostruzione con stessa volumetria su una diversa area di sedime rispetto a quella originaria.

Con risposta ad interpello n. 210/2019 l’Agenzia delle Entrate chiarì che, in linea di massima, l’intervento di demolizione con ricostruzione con una minore volumetria è qualificabile come intervento di ristrutturazione, con delle eccezioni per i beni sottoposti a vincoli culturali o paesaggistici ai sensi del D.Lgs. 42/2004.

Il concetto che la volumetria non possa essere superata in sede di ricostruzione, è stato tuttavia superato dal Decreto semplificazioni (D.L. 76/2020), il quale, modificando il D.P.R. 380/2001, prevede ora quanto segue: “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’installazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”.

Con particolare riferimento al primo periodo, la relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge precisa che “il medesimo edificio può presentare quegli incrementi volumetrici necessari, oltre che per l’adeguamento alla normativa antisismica (già previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d, del DPR n. 380/2001), anche per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.

In sostanza, dalla lettura della relazione parrebbe che una demolizione con una ricostruzione con maggiore volumetria, che sia dovuta ad esempio all’efficientamento energetico (maggiore spessore delle pareti,  creazione di locali comuni per una caldaia centralizzata in sostituzione delle singole caldaie ecc.?), o all’installazione di impianti tecnologici (ascensore?) o all’accessibilità (ascensori di maggiore superficie, rampe per disabili?), possa qualificarsi come intervento di ristrutturazione, con applicazione dell’Iva al 10% e con i benefici delle detrazioni fiscali.

Chiaramente, come precisato precedentemente, la normativa di base è quella urbanistica, e gli esempi proposti da chi scrive (un “fiscalista”, che peraltro trova la relazione non proprio conforme al tenore letterale della norma) sono solo uno stimolo affinché siano forniti i dovuti chiarimenti in tale sede.