29 Giugno 2018

Definizione di ETS alla prova del decreto correttivo – II° parte

di Luca Caramaschi
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Dopo aver descritto, nella prima parte, i criteri per definire il carattere commerciale o non commerciale delle attività di interesse generale svolte dagli enti del terzo settore, andiamo ora ad analizzare i parametri che occorre considerare per definire la natura dell’ETS medesimo.

A tal proposito il decreto correttivo, pur prevedendo uno spostamento della disposizione contenuta nel comma 5 al nuovo comma 5-ter dell’articolo 79 D.Lgs. 117/2017, non modifica la decorrenza degli effetti derivanti dal cambio di natura dell’ETS, continuando a prevedere al nuovo comma che “Il mutamento della qualifica, da ente di terzo settore non commerciale a ente di terzo settore commerciale, opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale”.

La retrocessione degli effetti del richiamato mutamento fin dall’inizio del periodo d’imposta nel quale il superamento delle entrate commerciali rispetto a quelle non commerciali è intervenuto, evidenzia pertanto la necessità di monitorare con estrema attenzione l’evoluzione di tutte le entrate dell’ente, avendo ben chiara la diversa natura delle medesime (non si può non osservare come le maggiori difficoltà di qualificazione saranno collegate proprio dalle attività di interesse generale di cui all’articolo 5, posto che anche natura commerciale o non commerciale delle stesse può essere verificata solo alla conclusione del periodo d’imposta).

La prima parte del citato comma 5, invariata anche nella versione licenziata della bozza di correttivo, afferma infatti che “….  gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all’articolo 5, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo, nonché le attività di cui all’articolo 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali”.

Gli elementi da prendere in considerazione per operare tale ulteriore e fondamentale verifica sono dunque:

  • i proventi derivanti dalle attività di interesse generale di cui all’articolo 5;
  • i proventi derivanti delle cosiddette attività diverse di cui all’articolo 6 (fatta eccezione per i proventi derivanti da attività di sponsorizzazione ad oggi non ancora ben definite);
  • le entrate derivanti da attività non commerciali.

Per i citati proventi derivanti dalle attività di interesse generale si dovrà quindi individuarne la natura non commerciale o commerciale secondo i criteri già descritti nel precedente contributo.

Il secondo elemento è rappresentato dai proventi derivanti dalle attività diverse di cui all’articolo 6 del Decreto. Dette attività, secondarie e strumentali rispetto a quelle di interesse generale di cui all’articolo 5, e che dovranno essere definite da un decreto di prossima emanazione (il termine previsto è sempre quello di un anno dall’entrata in vigore del D.Lgs. 117/2017, e quindi il 3 agosto 2018), pare debbano ordinariamente qualificarsi come commerciali, in assenza di precisazioni sul punto anche nella relazione illustrativa al provvedimento; dovrebbero pertanto incidere negativamente nelle valutazioni riguardanti la natura commerciale o non commerciale dell’ETS.

Restano escluse da tale valutazione, per esplicita previsione normativa, le entrate derivanti da attività di sponsorizzazione, ma su questo, come sulla generale qualificazione delle attività diverse, solo il decreto di futura emanazione potrà fornire un contributo decisivo.

L’ultimo elemento da considerare ai fini della individuazione della natura degli ETS riguarda le entrate derivanti da attività non commerciali. Ed è proprio su questo punto che si inserisce un’importante modifica contenuta nella bozza di decreto correttivo. Nell’elencare queste entrate la versione originaria del comma 5 dell’articolo 79 indicava i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente, ogni altra entrata assimilabile alle precedenti. In tale ultima categoria residuale, l’originaria disposizione vi comprendeva i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4, lettera b).

Già in sede di primo commento delle richiamate disposizioni si era pertanto osservato come la norma non richiamasse l’ipotesi contemplata dall’articolo 79, comma 4, lett. a), D.Lgs. 117/2017 ovvero “a) i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”.

Come a dire, quindi, che detti proventi non dovevano concorrere quali pesi dell’ideale “bilancia” nella quale confrontare le entrate commerciali e quelle non commerciali ai fini della verifica della natura dell’ETS. È invece il nuovo comma 5-bis introdotto dalla bozza di correttivo che, riproponendo la formulazione contenuta nell’ultimo periodo del comma 5 (che viene quindi eliminata), toglie il riferimento alla lettera b) al fine di richiamare integralmente il comma 4, e quindi anche la citata previsione contenuta nella lettera a) riguardante i proventi derivanti dalle attività di raccolte fondi occasionali (occorre a tal proposito non fare confusione con tutti i possibili proventi derivanti dalle attività di raccolta fondi previste dall’articolo 7 D.Lgs. 117/2017, ma solo con quelli che presentano le caratteristiche descritte nella richiamata lett. a) del comma 4 dell’articolo 79 e che ricalcano quelle già previste dall’articolo 143, comma 3, lett. a), Tuir).

Il comma 5-bis si chiude precisando che occorre tenere “conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali”. Secondo quanto previsto nella relazione illustrativa al Decreto, quindi, si deve tenere conto anche del valore normale delle cessioni o prestazioni svolte a titolo gratuito, nonché delle attività non commerciali proprie delle ODV e APS di cui ai successivi articoli 84 ed 85; inoltre, l’indicazione delle attività di sponsorizzazione deve intendersi inserita a titolo non esaustivo rispetto a quelle puntualmente indicate nel D.M. di cui all’articolo 6 e va intesa in una accezione non restrittiva. Anche su questi aspetti sarà fondamentale attendere il pensiero ufficiale dell’Agenzia.

Per quanto detto in precedenza, quindi, possiamo affermare che per valutare la natura degli ETS il legislatore ha inteso prendere a riferimento le entrate che assumono natura commerciale (ricavi, proventi, corrispettivi), per contrapporle a quelle derivanti da attività non commerciali.

A tal proposito deve osservarsi come, letteralmente, la formulazione del comma 5, ai fini del confronto, accoglie tra le entrate commerciali due categorie di proventi ben definite mentre, con riferimento alle entrate non commerciali, pare adottare un criterio più ampio e generalizzato (in tal senso il richiamo a “ogni altra entrata assimilabile alle precedenti”). Dovrà pertanto essere chiarito se nel piatto della bilancia riferito alle entrate commerciali taluni elementi andranno esclusi oppure se, come logica vorrebbe, anche tutti gli altri proventi di natura commerciali debbano concorrere alla valutazione circa la natura dell’ETS.

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