16 Maggio 2025

Deducibili i compensi dell’amministratore parametrati all’andamento economico della società

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Sotto il profilo civilistico e tributario, il compenso all’amministratore rappresenta una delle leve più delicate e strategiche della pianificazione societaria e fiscale. Se, da un lato, costituisce l’espressione economica del ruolo gestorio, dall’altro assume crescente rilevanza quale strumento di ottimizzazione fiscale e di razionalizzazione del carico tributario.

Ai fini della determinazione del reddito d’impresa, la deducibilità del compenso spettante agli amministratori delle società è subordinata al principio generale dell’inerenza, che impone una correlazione tra il costo sostenuto e l’attività esercitata. Tale principio si declina anche sul piano quantitativo, sollevando interrogativi in merito alla congruità del compenso deliberato, rispetto all’andamento economico dell’impresa.

In tal senso, la giurisprudenza tributaria ha mostrato, negli anni, oscillazioni significative. Se in passato si è affermata la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di sindacare la congruità dei compensi, anche in assenza di irregolarità formali, si è poi affermato un indirizzo più garantista, che riconosce il diritto alla deduzione in assenza di prove puntuali circa l’abuso.

Il recente arresto giurisprudenziale ha fornito chiarezza in un terreno ancora controverso (cfr., Cassazione n. 1051/2025). La suprema Corte ha affermato, in maniera netta, che: “l’andamento – in concreto – dei compensi dell’amministratore della società appellante… poteva dirsi coerente ed in linea con l’andamento economico e finanziario della società medesima”, riconoscendo così la deducibilità del costo, anche in assenza di parametri predeterminati, purché vi sia coerenza economica e proporzionalità gestionale.

La Cassazione ha evidenziato, altresì, che: “il compenso va determinato in relazione ai mezzi utilizzati per raggiungere i risultati positivi, dovendo escludere che l’obbligazione assunta dal soggetto munito dell’incarico gestorio sia quella di risultato”.

Tale pronuncia assume rilievo anche rispetto a un fenomeno crescente nella prassi: l’integrazione del compenso in denaro con strumenti di welfare aziendale, sempre più diffusi anche tra gli amministratori di società a responsabilità limitata. Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, è possibile estendere il welfare ai componenti del Consiglio di amministrazione, a condizione che i compensi da questi percepiti siano assimilabili a quelli da lavoro dipendente (cfr., risposta a interpello n. 954-1417 del 2016).

In questa prospettiva, il welfare aziendale consente di affiancare al reddito ordinario una componente in beni e servizi, fiscalmente esente per l’amministratore e deducibile per la società. Si tratta, dunque, di una forma di remunerazione complementare, che consente di ridurre il carico fiscale complessivo, senza rinunciare alla piena legittimità e trasparenza.

Il piano di welfare, correttamente implementato, diventa così parte essenziale di una più ampia strategia di pianificazione fiscale, idonea a generare efficienza economica e a tutelare l’equilibrio tra compenso e prestazione, contribuendo a costruire un sistema retributivo coerente con l’andamento dell’attività. I vantaggi sono evidenti: da un lato, l’amministratore beneficia di una quota di compenso esente da imposte e contributi; dall’altro, la società può dedurre integralmente il costo dei beni e servizi erogati.

Tuttavia, è bene sottolineare che l’adozione del welfare aziendale richiede il rispetto di precisi requisiti formali e sostanziali, tenendo presente che la minima svista nella qualificazione del reddito o nell’applicazione della disciplina può comportare rilievi fiscali e sanzioni, vanificando i benefici auspicati.

La Cassazione, con l’ordinanza citata, ha confermato che l’onere probatorio in caso di contestazione grava sull’Amministrazione finanziaria, la quale deve dimostrare la sproporzione del compenso e l’eventuale finalità elusiva. Il contribuente, a sua volta, è tenuto a documentare la coerenza tra la remunerazione erogata e le dinamiche aziendali. In mancanza di tali presupposti, la riduzione unilaterale del costo da parte dell’Ufficio risulta priva di legittimità, soprattutto se “non risponde ad alcun criterio ovvero canone di razionalità o ad alcuna valida argomentazione”.

Da ciò emerge un principio di fondamentale importanza per i professionisti: la pianificazione fiscale, affinché sia efficace e sostenibile, deve fondarsi su dati economici verificabili, documentazione adeguata e soluzioni coerenti con l’andamento dell’impresa. Il compenso dell’amministratore, incluso quello erogato in forma welfare, si inserisce perfettamente in tale logica, a condizione che sia gestito con trasparenza e secondo criteri aziendalistici.

In conclusione, il compenso amministratore, nella sua duplice forma monetaria e in natura, costituisce oggi un elemento strategico nella governance societaria. La recente giurisprudenza rafforza la posizione dei contribuenti virtuosi, ribadendo che il diritto alla deduzione deve essere valutato alla luce della reale coerenza con i risultati economici della società. L’approccio prudente ma evoluto, capace di coniugare strumenti tradizionali e soluzioni innovative come il welfare, rappresenta la via maestra per una pianificazione patrimoniale e fiscale efficace, trasparente e sostenibile nel tempo.