31 Gennaio 2015

Criteri distintivi tra cessione con posa in opera e appalto

di Comitato di redazione
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Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto risulta assai importante riuscire a
distinguere tra una prestazione di servizi ed una cessione di beni con posa in opera accessoria; tante sono le implicazioni, a partire dal momento impositivo, transitando dalla territorialità per arrivare sino alle aliquote applicabili.
Di recente, poi, la questione è salita nuovamente alla ribalta ai fini della corretta applicazione delle nuove regole sulla inversione contabile introdotte all’art. 17, comma 6, lettera a-
ter) ad opera della Legge di Stabilità 2015.
Vale subito la pena di anticipare che,
in talune ipotesi, non esiste una linea demarcativa ben precisa, come nel caso della cessione del bene con posa in opera raffrontata con il contratto d’appalto; peraltro, le difficoltà interpretative non riguardano solo l’ambito fiscale ma, prima ancora, quello civilistico.
Proprio sul
versante giuridico, si propone una analisi tesa alla ricerca di taluni sintomi che possono aiutare l’interprete; in particolare:
  • la volontà delle parti (prevalenza): bisogna ricercare se le parti abbiano inteso attribuire prevalenza all’attività lavorativa prestata o all’elemento della materia, senza che sia di per sé dirimente il dato oggettivo del raffronto tra valore della materia impiegata e valore dell’opera prestata (Cassazione 17.12.1999 n. 14209, 21.06.2000 n. 8445, 21.04.2001 n. 6925, 02.08.2002 n. 11602). In particolare, si aggiunge che ciò che conta non è la semplice opinione, quanto piuttosto l’intento empirico perseguito attraverso la conclusione del contratto (quindi, si ha un appalto quando in maggior rilievo risulta l’obbligazione di facere, mentre si ha cessione con posa in opera quando il maggior rilievo viene attribuito al trasferimento della proprietà dietro pagamento di un prezzo);
  • criterio della ordinaria produzione: se il bene oggetto dell’accordo è di ordinaria produzione o commercio da parte dell’assuntore, appare possibile attribuire una rilevanza preminente alla volontà di trasferimento della proprietà. Parimenti, si dovrebbe giungere alle medesime conclusioni ove sia richiesto di apportare delle modifiche finalizzate al semplice adattamento o ad una lieve personalizzazione. Diversamente, ove le modifiche fossero tali da rendere il risultato sostanzialmente diverso rispetto al bene standard, si ricadrebbe nel caso dell’appalto (Cassazione 30.03.1995 n. 3807, 21.06.2000 n. 8445, 21.05.2001 n. 6925).
Nella pratica operatività quotidiana, non pare comunque semplice evidenziare i tratti distintivi sopra enucleati dalla giurisprudenza, non fosse altro per la diffusa abitudine di non cristallizzare gli accordi per iscritto, come pure ritenuto legittimo dal codice civile.
La prassi interna si è occupata nel passato di tentare di rispondere agli interrogativi in analisi, giungendo a delle conclusioni che possono apparire soddisfacenti in prima battuta, ma che possono prestare il fianco a critiche ove si rifletta in modo più approfondito.
Ad esempio, è possibile citare:
  • Risoluzione 05.07.1976, n. 360009: dopo avere richiamato i principi giurisprudenziali già sopra evidenziati (sia pure riferiti a pronunce più datate nel tempo) si afferma che sono da considerare contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura, ed eventualmente anche la posa in opera, di impianti di riscaldamento, condizionamento d’aria, lavanderia, cucina, infissi, pavimenti, etc., qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e materiali sopra menzionati. (si veda la R.M. del 12.03.1974 n. 503351). Tuttavia, nel caso particolare che le clausole contrattuali obbligassero l’assuntore degli indicati lavori a realizzare un “quid novi” rispetto alla normale serie produttiva, deve ritenersi prevalente l’obbligazione di “facere“, in quanto si configurano gli elementi peculiari del contratto di appalto e, precisamente, l'”intuitus personae” e l’assunzione del rischio economico (Cass. 17.2.1958, n. 507) da parte dell’appaltatore;
  • Risoluzione 10.08.2007, n. 220/E: “… si ritiene che, nelle ipotesi in cui siano poste in essere sia prestazioni di servizi che cessioni di beni, occorrerà far riferimento alla volontà contrattualmente espressa dalle parti per stabilire se sia prevalente l’obbligazione di dare o quella di fare. Si fa presente che in linea di principio la distinzione tra contratto di vendita e contratto di appalto dipende dalla causa contrattuale, rintracciabile dal complesso delle pattuizioni negoziali e dalla natura delle obbligazioni dedotte dalle parti. Quando il programma negoziale ha quale scopo principale la cessione di un bene e l’esecuzione dell’opera sia esclusivamente diretta ad adattare il bene alle esigenze del cliente, o a consentirne la fruizione, senza modificarne la natura, il contratto è senz’altro qualificabile quale cessione con posa in opera. Al contrario, se la volontà contrattuale è quella di addivenire a un risultato diverso e nuovo rispetto al complesso dei beni utilizzati per l’esecuzione dell’opera, allora la prestazione di servizi si deve considerare assorbente rispetto alla cessione del materiale impiegato” (in termini del tutto simili si esprime la Risoluzione 11.07.2007, n. 164/E);
  • Risoluzione 13.07.2007, n. 172/E: ai fini della qualificazione del rapporto giuridico come contratto d’appalto, prestazione d’opera o fornitura con posa in opera, è necessario attribuire rilevanza non già al nomen iuris attribuito dalle parti al contratto, bensì agli effetti da questo prodotti in base alla comune intenzione delle stesse, senza limitarsi al dato letterale delle parole, quando in contrasto con il comportamento complessivo posteriore alla conclusione del contratto, conformemente a quanto disposto dall’art. 1362 c.c.;
  • Assonime, Circolare 30.07.2007, n. 45: secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, invero, è un contratto di cessione con posa in opera quello avente a oggetto la cessione di un bene che ha una sua specifica destinazione d’uso ancor prima della posa in opera (per esempio: cessione di porte, finestre, radiatori, scaldacqua, caldaie per impianti a gas ecc.) a cura del soggetto cedente: tale prestazione si sostanzia in una prestazione accessoria e strumentale (per esempio: montaggio, fissaggio, incollatura, assemblaggio ecc.) necessaria a rendere il bene idoneo a essere utilizzato dal soggetto acquirente per la funzione per la quale è stato prodotto. La Commissione Tributaria Centrale ha confermato la natura dei contratti di cessione anche di quelli che prevedono “la fornitura con semplice posa in opera di normali prodotti che richiedono, per loro natura, l’esecuzione di opere murarie (che in tal caso assume carattere di mera “assistenza”) per aprire e chiudere tracce, fori, sostegni al fine di consentire alla ditta fornitrice la “posa in opera” dell’impianto tipo, prodotto in fabbrica o disponibile in negozio …”. In termini più generali la Corte di Cassazione ha chiarito che, per individuare, fra le molteplici e complesse tipologie concrete fattispecie contrattuali ricorrenti nel settore edilizio, quelle riconducibili alla cessione con posa in opera e quelle riconducibili al contratto di appalto, si può fare riferimento all’attività del soggetto che fornisce i beni: nel caso in cui oggetto dell’ordinaria attività di tale soggetto è la produzione o il commercio di beni, l’eventuale loro posa in opera dallo stesso realizzata non modifica il contratto di vendita in un contratto di appalto.
Proviamo a fare alcuni
esempi pratici:
  • impianto di riscaldamento fornito dall’idraulico: non assumono rilevanza i singoli componenti, quali tubi, valvole, radiatori ecc., quanto piuttosto il fatto che l’impianto sia in grado di portare i locali alla temperatura voluta;
  • caldaia sostituita su un impianto già esistente: basta apportare una semplice variabile allo scenario sopra delineato per avere delle difficoltà: rileva il bene, peraltro oggetto del “commercio abituale” da parte del fornitore, oppure rileva l’effettivo funzionamento del bene quanto connesso all’impianto esistente? Le medesime perplessità si potrebbero avanzare in relazione a sostituzioni di elementi ancor più vili in termini di valore, quali ad esempio un termostato;
  • piastrelle per pavimenti: trattasi di vendita ove il commerciante si impegna soltanto a consegnare il materiale, indirizzando il committente a stipulare contratti d’opera separati con i posatori. Diversamente, ove il commerciante si impegni a eseguire la pavimentazione, garantendone il risultato, dovremmo essere sfociati nell’appalto;
  • controsoffitti e pareti in cartongesso: la Risoluzione 220/E/2007 ha ritenuto che l’esecuzione “ad arte” di controsoffitti e di pareti di cartongesso costituisce un risultato diverso rispetto al complesso dei beni utilizzati ed è pertanto prestazione di servizi.
Poiché si è convinti che, nonostante le indicazioni fornite, rimarranno sempre aree di “rischio”, vale la pena di rammentare che,
in presenza di un contratto redatto in forma scritta, l’onere di documentare l’inesistenza dell’appalto ricade sui verificatori, mentre se il contratto è solo verbale, s’inverte l’onere probatorio, per cui è il contribuente che dovrà dimostrare l’esistenza dell’appalto, adducendo concreti elementi di fatto (C.M. n. 175/E/1999).
 
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