17 Giugno 2022

Costo del denaro e crediti Iva

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Tanto sta tuonando, che pioverà!

Dopo l’immensa produzione di moneta da parte delle banche centrali occidentali negli ultimi anni, con ricchezza reale quasi ferma, inizia a farsi viva l’inflazione. Con essa ne seguirà un incremento del costo del denaro, ed una maggior pericolosità a prestarlo agli Stati meno virtuosi del mondo occidentale.

Non voglio di certo sostituirmi ai macroeconomisti ed arrivo quindi a parlare della mia materia: l’Iva, una imposta che – anche a seguito di normative di presunto contrasto all’evasione – permette allo Stato di finanziarsi in maniera forzosa nei confronti dei contribuenti.

Chiaramente, finiscono a credito di Iva coloro che acquistano beni e servizi pagando l’Iva (e quindi a fornitori nazionali o in dogana), ed effettuano vendite senza incassare Iva dai loro clienti, perché fatturano verso l’estero (cessioni intracomunitarie, esportazioni, vendite a distanza), o fatturano ad esportatori abituali, in reverse charge, in split payment.

In alcuni casi si recupera liquidità con piccoli accorgimenti amministrativi, ad esempio imputando la detrazione dell’Iva al mese di effettuazione dell’operazione invece che a quello di ricezione e registrazione della fattura.

In situazioni di significativi lavori di recupero immobiliare, l’affidamento degli stessi a più imprese, anziché ad una unica impresa (che poi subappalta), può portare a ricevere più fatture in reverse charge, e meno con Iva esposta.

In altre situazioni il credito Iva è gestibile con presentazioni di richieste di rimborso e di compensazione trimestrale. Con il costo del denaro basso degli ultimi anni magari non sono state presentate, in quanto l’onere finanziario era inferiore a quello amministrativo (visti di conformità, ecc…). La situazione dovrà probabilmente essere analizzata secondo nuovi valori.

Per coloro che fanno vendite a distanza intracomunitarie (commercio elettronico), è già stato scritto sulle pagine di questo quotidiano come la fatturazione delle stesse (non obbligatoria ai sensi di legge), permette di inserirle tra le operazioni non imponibili, ai fini del raggiungimento di quei parametri che servono per presentare le istanze di rimborso o di compensazioni trimestrali e di qualificarsi come aventi diritto all’utilizzo del plafond.

Per quanto riguarda il plafond previsto per gli esportatori abituali, va ricordato che soggetti con veloci incrementi di vendite verso l’estero hanno maggior vantaggio ad utilizzare quello mensile, rispetto a quello annuale.

Anche qui, le complicazioni del primo rispetto al secondo sono evidenti, ma dovrà essere ricalcolato il costo finanziario aggiuntivo della scelta per quello annuale. Qualora poi lo stesso sia poco capiente, si dovrà prestare attenzione ad utilizzarlo per gli acquisti con aliquote maggiori.

In altri casi il credito Iva potrebbe nascere da operazioni infragruppo, ed anche in tali circostanze, con il costo del denaro in aumento, dovrà essere ripensato se una liquidazione Iva di gruppo possa portare più benefici che oneri.

In altri casi, il credito Iva nasce da operazioni a catena che portano la merce, dopo una o più cessioni nazionali, ad uscire dall’Italia.

Il soggetto che fa l’ultima vendita verso l’estero, e quindi non incassa l’Iva, dovrebbe cercare di non pagare l’Iva sugli acquisti. In questo caso vanno analizzate bene le operazioni di triangolare nazionale dove IT1 può fatturare senza Iva ad IT2 per merce che viene consegnata all’estero, in funzione del soggetto che cura il trasporto della merce all’estero. Non dovessero esserci le condizioni, per la non imponibilità, dovrebbe essere analizzata la possibilità di utilizzare i depositi Iva o di identificarsi all’estero e gestire l’operazione a catena con un numero di identificazione Iva estero.

I depositi Iva, peraltro, possono portare a significativi vantaggi finanziari nel caso di acquisto di merce dall’estero, sua introduzione nel deposito IVA ed estrazione per utilizzo in produzione, oppure cessione a clienti nazionali di beni ancora presenti nel deposito Iva (cessione che avviene senza Iva), lasciando che sia il cessionario finale ad estrarre la merce dal deposito, assolvendo l’imposta con reverse charge, e quindi senza “pagarla” finanziariamente. Opportunamente impiegati, peraltro, gli stessi depositi possono portare anche a risparmi sul pagamento di dazi all’importazione.

Altra operazione che permette di risparmiare il materiale pagamento dell’Iva è l’immissione in libera pratica, più comunemente chiamata, nel gergo comunitario, “regime 42”, dal codice utilizzato in dogana per fare l’operazione. Con tale operazione si “trasforma” una importazione in un acquisto comunitario.

L’operazione stessa può essere spiegata con questo esempio: si immagini di dover acquistare della merce di provenienza americana, spedita via nave fino al porto di Amburgo; nella città anseatica la merce viene poi caricata su un camion e portata in Italia. Al porto di Amburgo la merce entra fisicamente nel territorio della Ue, e potrebbe essere “accompagnata” da un documento di transito fino alla Dogana del Paese di arrivo, nel quale l’acquirente finale (l’italiano) pagherà l’Iva sulla bolletta doganale di importazione. Questa imposta, dovrà essere pagata “cash”, salvo che non ci si avvalga del plafond o non siano importazioni particolari. Ad Amburgo, però, potrebbe essere posta in essere una operazione di “immissione in libera pratica”, che comporta l’effettuazione di una operazione doganale da parte di un rappresentante fiscale tedesco, senza pagamento di Iva in Germania, e per il cliente finale italiano, l’operazione così concepita si qualifica come un acquisto comunitario effettuato dal rappresentante fiscale tedesco.

Trasformare una importazione in un acquisto comunitario, vuol dire cambiare le modalità di assolvimento dell’Iva in Italia, ed evitare il materiale pagamento della stesa in dogana, o il consumo del plafond.