23 Ottobre 2013

Controversa la trasformazione di S.R.L. unipersonale in impresa individuale

di Fabio Landuzzi
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Il Tribunale di Piacenza, con Decreto 22.12.2011, ha affermato che le disposizioni in materia di trasformazione non sono applicabili al passaggio da società di capitali ad impresa individuale, in quanto la trasformazione può coinvolgere unicamente enti “plurisoggettivi” caratterizzati da un patrimonio separato.

Si tratta dell’orientamento giurisprudenziale prevalente (nonostante non abbia affatto trovato condivisione in dottrina) secondo il quale non è configurabile una trasformazione eterogenea atipica di una società di capitali unipersonale in un’impresa individuale, in quanto è da escludere l’interpretazione estensiva od analogica delle disposizioni previste agli articoli 2500-septies e 2500-octies del Codice civile.

La soluzione scelta anche dal Tribunale di Piacenza si basa sull’assunto per cui in tutte le fattispecie di trasformazione disciplinate dal Codice civile si presuppone l’esistenza di un “ente” sia in origine che in esito dell’operazione. Si tratta quindi di enti connotati, di regola:

  • da una “plurisoggettività” circa la loro composizione, nonché
  • dall’esistenza di un patrimonio separato rispetto a quello dei partecipanti.

Secondo la giurisprudenza, nel passaggio da una società ad un’impresa individuale, non sarebbe quindi mai corretto parlare di “trasformazione” nel significato tecnico-giuridico del termine, tenuto conto che la trasformazione di una ditta individuale in società, o viceversa, determina sempre una successione tra soggetti distinti, ovvero un ente che cessa di esistere ed una persona fisica priva di un patrimonio separato.

Pertanto, il caso della trasformazione da o in comunione d’azienda, in cui non si ha né una “plurisoggettività” né un patrimonio separato rispetto a quello dei comunisti, rappresenterebbe proprio un’eccezione rispetto alla disciplina ordinaria, non suscettibile però di interpretazioni estensive o analogiche.

Una parte della dottrina, come anticipato, si oppone a tale interpretazione sostenendo invece che nel caso di specie:

  • si verte in una trasformazione omogenea, in quanto non si verifica alcun mutamento della causa dell’organizzazione d’impresa, svolgendo anche la ditta individuale un’attività economica con scopo di lucro;
  • non vi sarebbero effetti negativi per i creditori sociali: diversamente, la giurisprudenza che si oppone alla legittimità di tale trasformazione, sostiene che l’assenza di adeguati presidi di pubblicità legale posti dall’ordinamento, esporrebbe i creditori, ignari dell’operazione in atto, a potenziali pregiudizi.

In dottrina, tuttavia, fra chi sostiene la legittimità dell’operazione prevalgono coloro che la qualificano come trasformazione eterogenea atipica, ammissibile nell’assunto che le fattispecie previste dall’art. 2500-septies del C.c. non abbiano carattere tassativo, bensì solamente esemplificativo, senza perciò che siano posti limiti alla volontà delle parti.

Si tratta, secondo tale visione della dottrina, di tutelare la conservazione del complesso aziendale nonostante l’adozione di forme organizzative diverse: questo orientamento troverebbe ulteriore ispirazione anche nella giurisprudenza di Cassazione (Sentenza 31.10.2007, n. 23019) secondo la quale “la trasformazione di una società in un altro dei tipi previsti dalla legge non si traduce nell’estinzione del soggetto e nella correlativa creazione di uno diverso, ma configura una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto”.