23 Luglio 2020

Controllo di società in situazioni giuridiche diverse dalla proprietà

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

Lo Studio n. 63-2020/I, recentemente pubblicato dal Consiglio Nazionale del Notariato, affronta il tema controverso della individuazione del “controllo di società” in presenza di situazioni giuridiche diverse dalla piena proprietà della partecipazione sociale; in particolare, lo Studio si occupa della disamina delle situazioni in cui la partecipazione sociale è oggetto di costituzione di un diritto di usufrutto, di pegno, di un contratto di riporto e di un contratto di leasing finanziario.

Sono tutte fattispecie che hanno un denominatore comune, il fatto che la titolarità del diritto di voto non deriva dalla proprietà della partecipazione.

Si parte infatti dal constatare che sono considerate “controllate”, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1 e 2, cod. civ., le società in cui un’altra dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto), e le società in cui un’altra dispone di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante (controllo di fatto).

In entrambi i casi siamo dinanzi a forme c.d. di controllo “interno” o controllo “da partecipazione”, dove assume rilevanza il numero dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria dei soci.

La ratio del peso attribuito ai voti in assemblea è riferita al fatto che è questo l’organo sociale che decide della nomina e della revoca degli amministratori, sicché ha il potere di influire in modo dominante sulla gestione dell’impresa sociale.

Vi sono però circostanze che nello Studio in commento sono definite come di controllo da partecipazione “di fatto”, ossia fattispecie in cui il controllo non si basa sulla maggioranza numerica dei voti, bensì su di un numero sufficiente ad esercitare comunque una influenza dominante. Le ragioni possono essere varie: dal comportamento delle minoranze, ai quorum assembleari, ecc.

In ogni caso, sottolinea lo Studio, il controllo presuppone una posizione “tendenzialmente stabile tale da consentire “una maggioranza di voti sufficiente a determinare le scelte della società con una certa continuità”; non deve trattarsi allora di una “situazione contingente”, bensì di una posizione giuridica che abbia un “certo grado di stabilità”.

Inoltre, perché sussista il controllo occorre indagare anche l’interesse per il quale il voto viene esercitato, poiché non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Con riferimento al caso dell’usufrutto e del pegno su partecipazioni, il voto, salvo diversa pattuizione, spetta all’usufruttuario ed al creditore pignoratizio; secondo lo Studio, quindi, questa circostanza è di per sé idonea a integrare la fattispecie del controllo di società, quando il voto sia esercitato nell’interesse del suo titolare (usufruttuario e creditore pignoratizio).

Si sottolinea, tuttavia, che questa conclusione resta confermata solo se in concreto si accerta, sulla base degli accordi che regolano l’esercizio del voto, che sono effettivamente tali soggetti i titolari del potere di decidere, sempre per il principio secondo cui non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

L’elemento essenziale su cui lo Studio si sofferma, come anticipato, consiste nella “stabilità” della relazione di controllo sotto il profilo temporale.

Ovvero, una breve durata del diritto di usufrutto o di pegno sulle partecipazioni non sarebbe ragionevolmente suscettibile di integrare il controllo, nel presupposto che l’esercizio del voto in una finestra temporale così ristretta non sarebbe tale da condizionare continuativamente ed in maniera la stabile il divenire dell’impresa sociale.

Come premesso, lo Studio affronta anche il contratto di leasing finanziario di partecipazioni, nella prospettiva dell’indagine circa la relazione di controllo.

Anche in questa circostanza non si intravvedono preclusioni circa il fatto che il soggetto controllante possa essere identificato nella società di leasing concedente, dovendo pur sempre compiere quella verifica del concreto assetto dei poteri e della eventuale ricorrenza del voto espresso per conto di terzi, che farebbe venire meno la sussistenza di una relazione di controllo.

Lo Studio segnala perplessità circa la validità di un patto che attribuisca in questa circostanza il diritto di voto all’utilizzatore, in forza del principio di inscindibilità della partecipazione; diversamente, pur rimanendo titolare del voto il concedente, i patti fra le parti potrebbero ben prevedere l’obbligo di quest’ultimo di votare, in modo particolare, su talune materie rilevanti per la gestione sociale, secondo le istruzioni ricevute dall’utilizzatore.

In questo caso, conclude lo Studio, potrebbero venire in soccorso le analisi e le conclusioni riferite al caso del contratto di vendita di partecipazioni con riserva di proprietà.