6 Marzo 2019

Controllo della Srl, soci “familiari” e regime forfettario

di Cristoforo Florio
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A seguito delle modifiche recentemente introdotte all’impianto normativo della L. 190/2014, la partecipazione in una Srl può costituire, a determinate condizioni, una causa di esclusione dal c.d. “regime forfettario”.

Il nuovo articolo 1, comma 57, L. 190/2014 stabilisce, infatti, che non possono avvalersi del regime forfettario gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che “(…) controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata (…), le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni (…)”.

Relativamente a tale novità normativa, che è in vigore dal 1° gennaio 2019, l’Agenzia delle Entrate non si è finora ancora pronunciata, neanche nel corso del consueto appuntamento annuale di Telefisco, lasciando gli operatori con non pochi dubbi.

Nel presente contributo si proverà pertanto a ragionare sul contenuto e sul significato di tale specifica disposizione, con particolare riguardo al tema dell’accesso al regime forfettario da parte di un titolare di partita Iva che sia al contempo socio di una Srl la cui compagine societaria è rappresentata da soci legati tra loro da vincoli familiari.

A tal fine va premesso che l’esclusione dal regime forfettario in discussione scatta solo nel caso di presenza congiunta dei due seguenti requisiti:

  1. sussistenza di una situazione di controllo, diretto o indiretto, della Srl; e
  2. attività svolta dalla Srl “controllata” che sia direttamente o indirettamente riconducibile a quella esercitata dal socio con la propria ditta individuale (impresa o libera professione).

Fermo restando che non creano situazioni di incompatibilità le partecipazioni in s.p.a., in s.a.p.a. e/o in società cooperative, la ratio della causa di esclusione in commento è stata evidenziata nella relazione illustrativa che ha accompagnato la Legge di bilancio 2019 ed è individuabile nell’intento “(…) di evitare artificiosi frazionamenti delle attività d’impresa o di lavoro autonomo svolte (…)”.

Entrando nel merito dell’esame della norma, giova innanzitutto evidenziare che, diversamente da quanto previsto per le società di persone, nel caso delle Srl il testo normativo non parla di detenzione di partecipazioni ma semplicemente di “controllo diretto o indiretto”; in linea teorica, quindi, basta il solo “controllo di fatto” della Srl, anche senza essere soci di quest’ultima, per verificarsi la causa di esclusione dal regime forfettario (sempre che sia soddisfatto anche il secondo dei due requisiti previsti).

In assenza di indicazioni ufficiali va rilevato che, nell’ordinamento italiano, la nozione di “controllo” è rinvenibile nell’art. 2359, comma 1, cod. civ., a mente del quale sono considerate società controllate:

  • le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto);
  • le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto);
  • le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (controllo di fatto).

Il comma 2 della richiamata disposizione stabilisce, inoltre, che “(…) ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta (…)” mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Come si potrà notare, l’articolo 2359 cod. civ. citato fa riferimento al controllo di società da parte di altre società; nel caso del regime forfettario, invece, la verifica del controllo va fatta in capo alla persona fisica che vuole accedere al predetto regime con la propria partita Iva individuale.

Pertanto, ai fini che qui interessano, si può integrare il richiamo operato all’articolo 2359 cod. civ. con quanto previsto dall’articolo 23 D.Lgs. 385/1993 (c.d. “Testo Unico Bancario” – T.U.B.), secondo cui “(…) il controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall’articolo 2359, commi primo e secondo, del Codice Civile (…)”.

Inoltre, secondo la norma da ultimo richiamata, il controllo sussiste anche in presenza di contratti o di clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento; in aggiunta, il T.U.B. considera esistente il controllo nella forma dell’influenza dominante, salvo prova contraria, quando ricorrono alcune situazioni specificamente individuate, di seguito elencate:

  1. esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori;
  2. possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza del C.d.A.;
  3. sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti: a) la trasmissione degli utili o delle perdite; b) il coordinamento della gestione dell’impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune; c) l’attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute; d) l’attribuzione, a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli amministratori o dei dirigenti delle imprese;
  4. assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi.

Dunque, alla luce di quanto precede, a parere di chi scrive, la presenza di un legame familiare tra i soci non è, di per sé, elemento sintomatico della sussistenza di una situazione di controllo “di fatto” da parte di uno di questi né di un’interposizione di persona.

Si pensi, ad esempio, al caso di una Srl partecipata da 4 soci, tutti familiari, ciascuno con una quota del 25%; in questo caso e salvo che non siano rinvenibili le specifiche situazioni individuate dalle norme precedentemente analizzate, ciascuno dei soci dovrebbe poter accedere al regime forfettario con una propria partita Iva individuale.

Naturalmente l’Amministrazione finanziaria potrà, dal canto suo, ricorrere a tutti i suoi poteri di indagine per dimostrare, caso per caso, che esistono gli elementi del “controllo diretto o indiretto” della Srl.

Non si può, quindi, trarre una regola generale, valevole per tutte le situazioni ma non sembrano esservi neanche delle esclusioni automatiche dal regime forfettario per il titolare di partita Iva che sia socio, insieme ad altri familiari, di una Srl.

Non si può sottacere che in passato l’Amministrazione finanziaria ha considerato rilevanti, relativamente alla nozione di controllo e, in particolare, ai fini della perimetrazione del gruppo societario, anche le partecipazioni possedute dai familiari dell’imprenditore, individuati ai sensi dell’articolo 5, comma 5, Tuir (v. circolare 5/E/2016, relativamente al credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo ex articolo 3 D.L. 145/2013); è pur vero, tuttavia, che si trattava di una interpretazione finalizzata a “(…) limitare possibili potenziali situazioni in cui il valore dell’attività di ricerca commissionata, e, quindi, il benefìcio ad essa collegato, possa essere determinato non in base al reale costo di mercato della commessa, ma subisca un’alterazione in conseguenza dall’influenza di un’impresa sulle decisioni dell’altra, che può manifestarsi non solo in dipendenza di vincoli azionari o contrattuali, ma anche per effetto di fattori economici (…)” (v. risoluzione 122/E/2017).

Le logiche della causa di esclusione in commento sembrano invece essere differenti; si può pensare, ad esempio, che si è voluto evitare che il soggetto in forfettario utilizzasse una “propria” Srl (da lui controllata) per fatturare le prestazioni che non poteva più fatturare in quanto aveva raggiunto il plafond massimo (€ 65.000), sfruttando congiuntamente i benefici della flat tax e quelli derivanti da una distribuzione di utili attentamente pianificata dalla sua Srl.

Infine si vuole ricordare che, con riferimento all’ipotesi dei due soci ciascuno avente una quota del 50%, l’Agenzia delle Entrate – con la risoluzione 376/E/2007 – ha avuto modo di chiarire che, in questa situazione, non si può escludere in termini assoluti la possibilità che sia individuabile una situazione di controllo da parte di uno dei due soci; infatti, precisa la risoluzione, “(…) l’ampiezza del concetto di controllo prevista dall’articolo 2359 del c.c. richiede necessariamente una analisi approfondita del complesso dei rapporti intercorrenti tra i soggetti coinvolti al fine di verificare se uno di essi eserciti sull’altro un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (…)”.

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