31 Dicembre 2014

Contrattazione di prossimità e limiti quantitativi contratto a termine

di Luca Vannoni
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Il Ministero del Lavoro con la risposta a
interpello del 2 dicembre 2014, n. 30, è intervenuto in materia di derogabilità ai limiti quantitativi di utilizzo del contratto termine, mediante contrattazione di prossimità, chiarendo, in particolare, che
la contrattazione di prossimità non potrà rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale, ma prevederne esclusivamente una diversa modulazione
L’importante chiarimento deve essere letto nel recente quadro delineatosi dopo la recente riforma del contratto a termine (DL n. 34/2014), in base alla quale è stato sostanzialmente liberalizzato fino a 36 mesi, con l’abrogazione delle causali, compensate da una serie di limitazioni quantitative.
In assenza di limiti introdotti dalla contrattazione collettiva, in virtù dell’art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 368/2001, opera un nuovo limite legale quantitativo per l’utilizzo dei contratti a termine, pari al 20% del numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.
Ricordiamo infatti che i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, possono individuare, anche in misura non uniforme, limiti quantitativi di utilizzazione  del contratto a tempo determinato, escludendo da limitazioni:
  1. la fase di avvio di nuove attività (sarà sempre la contrattazione collettiva nazionale a fissare tali periodi);
  2. le assunzioni per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività previste dal DPR 1525/63;
  3. assunzioni per specifici spettacoli o programmi radiofonici;
  4. con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Il
dubbio posto al Ministero mediante istanza di interpello riguarda la
possibilità di deroghe alle limitazioni quantitative attuabili con la contrattazione di prossimità ex art. 8 del D.L. n. 138/2011. Tale norma consente ai contratti collettivi aziendali o territoriali, purché sottoscritti
per le finalità e le materie previste dalla stessa norma e con una rappresentanza sindacale “qualificata”, di derogare a norme di legge e ai contratti collettivi nazionali di lavoro con efficacia erga omnes nei confronti di tutti i lavoratori. La possibilità di deroga incontra, poi,
due ulteriori limiti: il rispetto della
Costituzione e i vincoli derivanti dalle
normative comunitarie e dalle
convenzioni internazionali sul lavoro.
Proprio su quest’ultimo aspetto il Ministero del Lavoro ritiene debba essere prestata estrema attenzione. La normativa del lavoro a termine, il
D.Lgs. n. 368/2001, nasce infatti come
attuazione della direttiva 1999/70/CE (a sua volta attuazione dell’Accordo Quadro, a livello comunitario, CES, UNICE e CEEP): tra le disposizioni contenute, trasposta perfettamente nel corpo dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001, la direttiva prevede che “
i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori” (Preambolo).
Da tale presupposto il Ministero del Lavoro ritiene che, se è vero che la direttiva UE ritiene il contratto a tempo indeterminato come la forma comune di lavoro, “
l’intervento della contrattazione di prossimità non potrà comunque rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale ma prevederne una diversa modulazione”.
L’automatismo che sembra emergere dall’interpretazione ministeriale, “
assenza di limiti = perfetto surrogabilità tra contratto a termine e a tempo indeterminato” sembra eccessiva e, ad ogni modo,
non è applicabile in quei casi di natura temporanea o di intervento mirato, come per una categoria di lavorazioni (es. ampliamento delle lavorazioni da considerarsi stagionali, rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale), oppure per un periodo temporale (es. estensione della fase di start up oppure in caso di nuova commessa o nuova lavorazione.).