29 Settembre 2018

Il contoterzismo e le attività agromeccaniche

di Luigi Scappini
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L’agricoltura è un settore in continuo movimento ed evoluzione, basti pensare ai cambiamenti cui si è assistito a partire dal 2001, anno in cui, per effetto della delega prevista dalla L. 57/2001, il Legislatore ha riscritto integralmente la figura dell’imprenditore agricolo di derivazione codicistica.

La nuova figura di imprenditore agricolo introdotta con l’articolo 1 D.Lgs. 228/2001 (che ha riscritto integralmente l’articolo 2135 cod. civ.), non è più vincolata al “fondo”, elemento che diviene solamente potenziale, né ai tradizionali cicli naturali che caratterizzavano l’agricoltura tradizionale; l’introduzione del concetto di ciclo biologico, o di una sola fase necessaria dello stesso, ha portato a una radicale modernizzazione della figura imprenditoriale allineandola alle dinamiche produttive e tecnologiche in atto.

Dunque, l’imprenditore agricolo è colui che, nell’ottica del ciclo biologico, esercita alternativamente la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento di animali: attività essenziali alle quali, però, possono affiancarsi delle attività connesse che, a certe condizioni, vengono attratte nell’orbita dell’agrarietà.

L’impulso a questa apertura è venuto dall’accoglimento, da parte del legislatore, del concetto di multifunzionalità agricola: l’azienda agricola non è più vista come una semplice unità produttiva di beni primari ma ha la possibilità di espandere la propria operatività, aprendosi al mercato e anche all’erogazione di servizi.

Tra i servizi che l’azienda agricola può erogare, un posto di primo piano spetta senza dubbio a quelli agromeccanici, un tempo qualificabili esclusivamente come attività imprenditoriali. La novità della norma è dunque che questi servizi, una volta riconosciuta la loro natura di “attività connessa”, fanno parte dell’attività agricola.

Sul punto, non è secondario considerare che nel 2004 il Legislatore è intervenuto per dare una definizione delle attività agromeccaniche con l’articolo 5 D.Lgs. 99/2004, non senza creare qualche dubbio in merito.

La novità consiste nella scelta del Legislatore di definire compiutamente cosa si debba intendere per attività agromeccanica in quanto, in passato, veniva definita l’impresa agromeccanica e quindi, per differenza le attività.

Ai sensi dell’articolo 1 D.Lgs. 173/1998 erano tali le imprese che effettuavano “prestazioni a favore delle imprese agricole iscritte nel registro delle imprese”.

Al contrario, l’articolo 5 D.Lgs. 99/2004 stabilisce che si considerano attività agromeccaniche quelle fornite a favore di terzi con mezzi meccanici per effettuare le operazioni colturali dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, la sistemazione e la manutenzione dei fondi agro-forestali, la manutenzione del verde, nonché tutte le operazioni successive alla raccolta dei prodotti per garantirne la messa in sicurezza.

A queste si aggiungono le operazioni relative al conferimento dei prodotti agricoli ai centri di stoccaggio e all’industria di trasformazione quando eseguite dallo stesso soggetto che ne ha effettuato la raccolta.

Le attività così definite possono considerarsi quali prestazioni di servizi e quindi come attività connesse agricole quando sono rispettati entrambi i requisiti richiesti dalla normativa civilistica: quelli dell’unisoggetività e della prevalenza.

Il primo è rispettato quando vi è coincidenza tra soggetto che eroga la prestazione di servizi e che esercita una delle attività agricole ex se (coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali). In altre termini, e, aggiungiamo noi, ovviamente, chi effettua la prestazione di servizi deve essere un imprenditore agricolo.

Il secondo requisito è quello che crea, in determinati settori agricoli, maggiori problematiche interpretative, stante l’asetticità del dato normativo che si limita a richiede “l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”.

L’intento del Legislatore è evidente: cercare di favorire la corretta copertura degli investimenti fissi effettuati. Infatti, spesso si dimentica come il settore agricolo, sotto la spinta di una crescente evoluzione tecnologica, sia tenuto ad ammodernare il proprio parco attrezzi.

Sempre maggiori sono gli investimenti che vengono richiesti all’imprenditore agricolo, a copertura dei quali i flussi finanziari generati dall’agricoltura sono sempre connessi e dipendenti dai cicli naturali. Nonostante l’agricoltura intensiva porti a una produttività sempre maggiore, i limiti naturali non possono essere superati.

Per questi motivi, come detto, con la riforma del 2001 è stata introdotta la possibilità per l’imprenditore agricolo di sfruttare appieno la propria struttura a condizione, tuttavia, che la stessa non sia sovradimensionata rispetto alle proprie esigenze aziendali. E proprio qui, come anticipato, emerge il problema in determinati settori: comprendere quando si viene a creare un sovradimensionamento e quando l’attività, pur rispettando i limiti della prevalenza, viene a perdere quel carattere di accessorietà che, attenzione, non deve essere esclusivamente in una funzione economica.

Meno problematiche vi saranno quando l’attività, ad esempio, consiste nell’aratura dei campi per soggetti terzi in quanto, in questo caso il parametro della prevalenza potrà essere verificato prendendo quale riferimento le ore macchina lavorate o il gasolio agricolo utilizzato.

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La fiscalità dell’impresa agricola