6 Settembre 2021

Considerazioni sulla disciplina fiscale delle associazioni e società sportive dilettantistiche

di Guido Martinelli
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La scheda di FISCOPRATICO

L’imminente inizio del nuovo anno sportivo impone di mettere a fuoco due problemi interpretativi ancora irrisolti per il mondo dello sport dilettantistico, nell’ultima stagione che precede l’entrata in vigore della riforma dello sport.

Volendo accantonare, momentaneamente, le questioni legate al collegamento con l’imminente entrata in vigore del registro unico del terzo settore che potrebbero riguardare solo le sportive che decidessero di accedere al terzo settore, si dovrà mettere a fuoco il problema della commercialità dell’attività svolta dagli enti sportivi.

Due recenti sentenze della Cassazione (si veda, sul punto, il precedente contributo “Le Asd e la loro natura di ente non commerciale”) hanno stabilito un principio: la previsione dell’articolo 149, comma 4, Tuir, per il quale le associazioni sportive non perdono la loro qualifica di ente non commerciale in presenza dei parametri indicati nei primi due commi del citato articolo, non ha valore assoluto ma solo relativo.

Ciò vale a dire che il perdurare di presenza di proventi commerciali superiori a quelli istituzionali (vedasi le sponsorizzazioni) secondo la nostra Corte di legittimità può condurre alla perdita della qualifica di ente non commerciale.

Ricordiamo che, ove questo accadesse, le Asd non potrebbero più applicare la decommercializzazione dei corrispettivi specifici versati da soci e tesserati ai sensi di quanto previsto dall’articolo 148, comma 3, Tuir.

Ma l’Agenzia delle entrate aveva sostenuto l’esatto contrario in un importante documento di prassi, la circolare 18/E/2018.

Qui veniva espressamente riportato che: “Inoltre, le norme sulla perdita della qualifica di ente non commerciale stabilite dall’articolo 149, commi 1 e 2, del Tuir, per esplicita previsione contenuta nel comma 4 dello stesso articolo 149 del citato testo unico, non si applicano alle associazioni sportive dilettantistiche. In sostanza, le associazioni sportive dilettantistiche non perdono la qualifica di enti non commerciali ai sensi dell’articolo 149 Tuir”.

Ovviamente parliamo solo di associazioni in quanto le società sportive di capitali e le cooperative sono enti commerciali per definizione.

Appare pertanto opportuno capire, a stretto giro, se alla luce delle citate decisioni della Suprema Corte l’Agenzia abbia mutato o meno la posizione assunta nella citata circolare: in tal caso le conseguenze potrebbero essere di non trascurabile rilievo per il mondo dello sport.

Il rischio è l’assimilazione al regime del terzo settore, dove convivono enti non commerciali che godono di trattamenti fiscali agevolati e ets commerciali privi di alcun tipo di agevolazione.

Il secondo profilo, di altrettanta se non superiore importanza, è legata alla possibilità, per le società sportive di capitali e le cooperative, di considerare fuori campo iva ai sensi dell’articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972 le prestazioni di servizi erogate ai tesserati.

Secondo alcuni recenti contributi, apparsi sulla stampa specializzata, la natura di ente commerciale delle Ssd le escluderebbe dalla possibilità di applicazione della citata esclusione ai fini iva.

Credo si debba partire da una premessa.

Fino ad oggi l’Agenzia, sussistendone i corretti presupposti (natura di soggetto sportivo della Ssd, utilizzo della agevolazione solo nei confronti di soggetti già tesserati al momento della acquisizione del servizio, esclusione di metodi lesivi della libertà di mercato nei confronti dei soggetti imprenditoriali) non aveva mai contestato il diritto alle Ssd di godere di tale agevolazione.

Quindi, ad oggi, la grande generalità delle Ssd sta utilizzando questo regime. Credo che questo punto di partenza non possa e non debba essere trascurato.

È altrettanto vero che l’Agenzia non aveva neanche mai legittimato il diritto all’esclusione con chiari documenti di prassi a livello nazionale, ma neanche sostenuto il contrario.

Probabilmente, se criticità ci possa essere nell’utilizzo di questa norma, sicuramente non può e non deve essere legata alla natura di ente commerciale della Ssd.

Ad avviso di chi scrive il problema deve essere ricondotto al ritenere compatibile per una Ssd il diritto al ricorso all’articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972 in presenza dei commi 2 e 3 della medesima norma che prevedono la presunzione di attività di impresa per le prestazioni di servizi poste in essere da dette società anche nei confronti di propri soci, associati o partecipanti.

È indubbiamente vero, pertanto, che questo comma 4 dell’articolo 4 del decreto Iva necessita di una rivisitazione, sia dal legislatore che dall’interprete (questo senza voler fare poi, come dovremmo, riferimento anche alle disposizioni comunitarie in merito) ma tale opportuna riflessione non può prescindere dallo stato dell’arte, fino ad oggi non forse condiviso, ma sicuramente tollerato dalla Agenzia delle entrate.

Diventa indispensabile, a stretto giro, fornire chiarezza agli operatori dello sport. Il rischio è che le eventuali interpretazioni contrarie al diritto a godere di dette agevolazioni possano avere un costo che, unito a quello già previsto della riforma del lavoro sportivo, dia un colpo mortale all’attività sportiva di base.