5 Febbraio 2018

Concorso del professionista nel reato solo se ha ideato la frode

di Marco Bargagli
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Prima di valutare un’eventuale responsabilità del professionista ai fini penali-tributari, occorre ripercorrere brevemente le disposizioni sancite dall’articolo 110 del codice penale, a mente del quale “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questa stabilita”.

Molto spesso il cliente si rivolge al proprio consulente fiscale, al quale chiede il rilascio di pareri e studi di fattibilità, anche riferiti al compimento di determinate operazioni aziendali che l’imprenditore vuole porre in essere.

In tale contesto, oltre ai normali rapporti riconducibili alla consulenza societaria e fiscale resa dal professionista (es. commercialista, consulente contabile, consulente del lavoro, avvocato, etc.), talvolta lo stesso può concorrere, avendo ideato o preso parte ad un sistema evasivo, nei reati commessi dai propri clienti.

Sulla base di un consolidato orientamento espresso in sede di legittimità, per individuare la responsabilità penale del professionista, occorre che lo stesso abbia tenuto un comportamento attivo idoneo ad apportare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che, per effetto della sua condotta, abbia aumentato la possibilità della commissione del reato (cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 4383 del 10.12.2013).

Quindi, in linea generale, affinché il professionista sia chiamato a rispondere penalmente in concorso nel reato con il proprio cliente, occorre dimostrare che lo stesso abbia consapevolmente suggerito e organizzato attivamente comportamenti evasivi posti in essere dal soggetto passivo d’imposta.

Con riferimento ai rapporti intercorsi tra cliente e professionista, l’ordinamento giuridico contempla una particolare circostanza aggravante (ex articolo 13-bis D.lgs. 74/2000), la quale prevede che le pene stabilite per i reati in materia di  imposte sui redditi e sul valore aggiunto sono  aumentate della  metà  se  il  reato è  commesso  dal  concorrente  nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da parte di un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

Sempre con riferimento alla responsabilità penale del professionista nei rapporti con il proprio cliente, è recentemente intervenuta la Corte di cassazione, Sezione III penale, con la sentenza n. 1999/2018 del 14.11.2017.

Il supremo giudice di legittimità ha espresso il principio in base al quale “in tema di reati tributari, è responsabile a titolo di concorso il consulente fiscale per la violazione tributaria commessa dal cliente quando il primo sia l’ispiratore della frode ed anche se solo il cliente abbia beneficiato della operazione fiscalmente illecita”.

In particolare, i supremi giudici hanno respinto il ricorso presentato da parte di un consulente fiscale nei confronti del quale era stato ordinato il sequestro preventivo di beni per il concorso nel reato previsto e punito dall’articolo 10-quater D.lgs. 74/2000 (rubricatoIndebita compensazione).

Gli ermellini hanno chiarito che:

  • deve ritenersi responsabile in concorso il consulente fiscale, per la violazione commessa dal cliente, quando egli sia l’ispiratore della frode ed anche se per “avventura” solo il cliente abbia beneficiato della frode;
  • la responsabilità penale del commercialista a titolo di concorso di persone nel reato sussiste solo in caso di dolo;
  • la condotta dolosa da parte del consulente consiste nell’essere consapevole e cosciente del fatto che sta ponendo in essere una frode fiscale.

Nella fattispecie sottoposta al vaglio della suprema Corte, il Tribunale aveva rilevato che il professionista, anche in proprio, si era avvalso del medesimo sistema di indebita compensazione utilizzato per le società e l’aveva poi utilizzato per i clienti.

In conclusione, sulla base delle argomentazioni espresse in apicibus, lo stesso professionista non si era comportato da consulente fiscale che, nell’ambito della propria attività, fornisce suggerimenti alle società assistite ma, partecipando in pieno alle operazioni illecite, invece, ne aveva assunto il ruolo di regista e aveva ideato lo schema dell’indebita compensazione, tramite F24, di crediti inesistenti, con la precisa finalità di omettere i versamenti Iva dovuti.

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