12 Giugno 2025

Composizione negoziata della crisi e sospensione degli affidamenti bancari

di Fabio Giommoni
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Nell’ambito della composizione negoziata della crisi di impresa (“CNC”) un elemento di particolare criticità è rappresentato dall’evoluzione dei rapporti con gli istituti di credito, in ragione sia della rilevanza dell’indebitamento bancario nelle imprese in crisi, sia della necessità di liquidità per realizzare il percorso di risanamento intrapreso.

Tuttavia, proprio a seguito del ricorso alla CNC si assiste nella pratica ad un irrigidimento del rapporto con le banche finanziatrici, soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese, che hanno un potere contrattuale inferiore con il sistema bancario rispetto a quelle di più grandi dimensioni.

Infatti, le banche, a fronte dell’avvio della composizione negoziata, pur non arrivando a revocare i fidi concessi, spesso li sospendono temporaneamente, almeno per la parte non ancora utilizzata, in attesa di maggiori informazioni sul piano di risanamento dell’impresa o, comunque, rendono l’utilizzo dei fidi più difficoltoso (ad esempio allungando i tempi dell’anticipazione bancaria e/o notificando la cessione del credito ai clienti oggetto di anticipazione).

La sospensione/revoca dei finanziamenti e l’indisponibilità di concederne ulteriori sono condotte strettamente legate alla classificazione dei crediti verso l’impresa in CNC sulla base della disciplina di vigilanza prudenziale cui sono soggetti gli istituti bancari.

In particolare, le banche classificano più frequentemente i crediti dell’impresa in composizione negoziata tra quelli deteriorati, generalmente come “inadempienze probabili” (“unlikely to pay” – UTP) e più raramente come “sofferenze”. Ma se la situazione dell’impresa lo permette le posizioni possono essere anche mantenute in bonis (ancorché sotto monitoraggio).

Per risolvere dette problematiche, e favorire gli esiti positivi del risanamento aziendale, è intervenuto il decreto “Correttivo-ter” (D.Lgs. 136/2024), mediante la modifica dell’articolo 16, comma 5, D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII), al fine di chiarire espressamente che “la notizia dell’accesso alla composizione negoziata della crisi e il coinvolgimento nelle trattative non costituiscono di per sé causa di sospensione e di revoca delle linee di credito concesse all’imprenditore né ragione di una diversa classificazione del credito”.

Tuttavia, la medesima norma prosegue facendo salva la disciplina di vigilanza a cui sono sottoposte le banche (e non avrebbe potuto fare altrimenti), in quanto consente, comunque, la “sospensione o revoca delle linee di credito determinate dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale”, ancorché ciò possa avvenire solo a fronte di specifica comunicazioneagli organi di amministrazione e controllo dell’impresa, dando conto delle ragioni specifiche della decisione assunta”.

Pertanto, la sospensione o revoca degli affidamenti è legittima se fondata sull’osservanza delle regole di vigilanza e deve essere debitamente motivata in ragione di una specifica istruttoria che ne evidenzi le ragioni oggettive attinenti al merito del rapporto contrattuale.

Pure sulla questione della diversa classificazione del credito il “Correttivo-ter” ha chiarito che l’eventuale degradazione della posizione (generalmente a UTP) non può dipendere automaticamente dall’accesso dell’impresa alla CNC, ma la classificazione del credito deve essere determinata tenuto conto di quanto previsto dal progetto di piano rappresentato ai creditori e della disciplina di vigilanza prudenziale.

Anche in questo caso è fatta salva la disciplina prudenziale in quanto la banca può sempre classificare diversamente il credito sulla base di elementi oggettivi che evidenzino un deterioramento della situazione finanziaria dell’impresa.

In ogni caso, va chiarito che le disposizioni in commento operano unicamente con riferimento ai rapporti contrattuali pendenti, ovvero i fidi non scaduti, in quanto non è ipotizzabile:

  1. né imporre alla banca l’obbligo di concedere nuovi finanziamenti;
  2. né impedire alla banca di non rinnovare una linea di credito giunta a scadenza (anche se tale mancato rinnovo dovrebbe essere comunque supportato da specifiche motivazioni e non dal mero ricorso dell’impresa alla CNC).

Al di là di queste limitazioni oggettive, la portata delle nuove disposizioni del CCII appare, comunque, di natura essenzialmente “persuasiva”, ovvero queste sono per lo più dirette ad evitare comportamenti pretestuosi e non giustificati della banca, a discapito del risanamento dell’impresa, ma prive di sostanziale effetto coercitivo.

Anche le precisazioni sulla classificazione del credito non sembrano risolutive, dato che  il ricorso alla CNC si accompagna quasi sempre ad altri elementi del rapporto bancario che caratterizzano una situazione di difficoltà finanziaria, se non addirittura di crisi, dell’impresa, quali, ad esempio, gli sconfinamenti dei fidi a breve termine, i ritardi nel pagamento delle rate dei finanziamenti (inferiori a 90 giorni), la presenza di rilevanti insoluti nei rapporti di anticipazione, l’utilizzo “anomalo” delle anticipazioni (con rientro dell’esposizione da parte dell’impresa, anziché del cliente). Emerge, inoltre, dai bilanci e situazioni contabili periodiche, un peggioramento delle condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie dell’impresa.

La presenza di tali elementi di criticità del rapporto contrattuale (in precedenza eventualmente tollerati per ragioni “commerciali”), unitamente all’”ufficializzazione” di una situazione (quantomeno) di difficoltà finanziaria che deriva dal ricorso alla CNC, difficilmente potrà consentire alla banca di esimersi da riclassificare il credito come deteriorato (categoria a sua volta distinta in “UTP” e “sofferenze”),  con tutte le conseguenze negative che questo può comportare sulla gestione del rapporto.

Le nuove norme del “Correttivo-ter” non paiono in grado di risolvere del tutto questa importante problematica che ha riflessi prevalentemente sulle composizioni negoziate delle piccole e medie imprese, le quali dipendono maggiormente dal sistema bancario, avendo scarsa possibilità, a differenza delle grandi imprese, di ricorrere a fonti alternative di finanziamento (da ciò, molto probabilmente, dipende la scarsa percentuale di successo delle CNC avviate dalle piccole e medie imprese rispetto alla grandi, come emerge dai rapporti di Unioncamere).

Tale conclusione risulta sostanzialmente confermata dalle prime pronunce dei tribunali che sono stati chiamati dalle imprese in CNC ad imporre alle banche il ripristino delle linee di credito sospese, ai sensi del nuovo comma 5-bis dell’articolo 18, Codice (anch’esso introdotto dal “Correttivo-ter” e da coordinarsi proprio con il comma 5 dell’articolo 16), secondo il quale dal momento della conferma delle misure protettive, le banche, nei cui confronti le misure sono state confermate, non possono mantenere la sospensione relativa alle linee di credito accordate al momento dell’accesso alla composizione negoziata, se non dimostrano che la sospensione è determinata dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. Inoltre, la prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario.

Al riguardo, il Tribunale di Parma, con ordinanza del 10.01.2025, ha rigettato un’istanza diretta ad inibire il mantenimento della sospensione delle linee di credito accordate al momento dell’accesso alla composizione negoziata per quei rapporti bancari per i quali erano state fornite, dai rispettivi istituti, condivisibili osservazioni in merito al rischio che, alla luce del piano di risanamento proposto e delle incertezze evidenziate dall’esperto, in difetto di adeguate garanzie, la prosecuzione del rapporto di finanziamento avrebbe potuto risolversi in un’ingiustificata assunzione di rischio da parte della banca, stante il concreto pericolo di non ottenere il rientro del credito già erogato.

Pur nel contesto di una situazione suscettibile di effettivo risanamento (circostanza che ha comunque giustificato, nel caso di specie, la conferma delle misure protettive), l’ordinanza osserva che il rifiuto opposto dalle banche alla riattivazione delle linee di credito sospese non poteva considerarsi ingiustificato alla luce dei principi di sana e prudente gestione e delle valutazioni prospettiche imposte dalla normativa creditizia, a fronte dei margini di incertezza e delle molteplici variabili che condizionavano l’attuazione del piano di risanamento.

Per gli altri istituti di credito che non si erano opposti, il Tribunale di Parma accoglieva invece la richiesta di inibire il mantenimento della sospensione dei fidi sospesi in quanto, proprio per il difetto di opposizione, non vi era alcun riscontro concreto che la sospensione fosse stata disposta in applicazione dei principi della vigilanza preventiva.

Il Tribunale di Bologna, con provvedimento del 16.03.2025 (pur confermando anche in questo caso le misure protettive richieste) ha respinto la richiesta di imporre la riattivazione delle linee di credito sospese, in quanto ha riconosciuto alle banche il diritto di mantenere o provocare le revoche e le sospensioni che siano giustificate da specifiche ed esplicitate ragioni di prudente gestione del credito non superate o superabili dalle evoluzioni del piano (anche in termini di concessione di ulteriori garanzie o della prededuzione).

In particolare, dalla lettura dei verbali delle riunioni effettuate con le banche emergevano le ragioni della sospensione dei fidi, tenuto conto delle richieste di moratoria del “finimport” scaduto in presenza anche di scoperto dei conti correnti, della mancata indicazione da parte della società delle modalità di ripristino del capitale sociale, della mancata previsione di finanza terza (dei soci) a supporto del piano, nonché dal risultato non positivo del test pratico in conseguenza del rilevante debito fiscale scaduto.

Fanno eccezione gli interventi del Tribunale di Firenze (ordinanza del 28.04.2025) e del Tribunale di Venezia (ordinanza del 28.03.2025), ma si tratta di casi del tutto particolari i quanto gli istituti di credito coinvolti avevano già manifestato la disponibilità alla riattivazione degli affidamenti.

In particolare, il Tribunale di Firenze ha imposto il divieto di sospensione delle linee di credito solo per il 45% del loro ammontare, ma perché ciò era previsto da specifico accordo successivamente intervenuto tra l’impresa in CNC e l’istituto di credito erogante, che inizialmente aveva sospeso il 100% degli affidamenti.

Il Tribunale di Venezia ha imposto la riattivazione di una linea di credito autoliquidante ad un istituto di credito che aveva già manifestato la disponibilità a riattivarla e che, tra l’altro, dopo l’avvio della CNC aveva concesso all’impresa una ulteriore linea di credito sotto forma di factoring.

Tutte queste considerazioni evidenziano come risulti fondamentale trattare con gli istituti di credito le condizioni per il mantenimento delle linee di credito già prima dell’accesso alla CNC, al fine di evitare che l’avvio della procedura possa comportare più danni che benefici alla continuità aziendale, a seguito della sospensione o revoca dei fidi.

Eventualmente si potrà convenire con le banche di richiedere al tribunale di autorizzare, ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lettera a), Codice, uno specifico accordo di riattivazione delle linee di credito, prudenzialmente sospese, con i conseguenti effetti in termini di prededucibilità del credito.