11 Giugno 2015

Compensazioni oltre soglia: certa la sanzione al 30%

di Giovanni Valcarenghi
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In questi giorni di predisposizione dei modelli dichiarativi, può capitare di avvedersi che un contribuente abbia ecceduto la soglia massima di compensazioni possibile.

In tali casistiche, fermo restando la conoscenza del tetto massimo previsto dalla legge 388/2000 (art. 34) attualmente pari a 700.000 euro, viene da pensare a quale sia il corretto trattamento sanzionatorio, ritenendo forse inadeguato applicare la misura del 30%, al pari di un qualsiasi omesso o tardivo versamento.

In fin dei conti, ci dice il cliente, quel è credito vero e non si sarebbe arrecato alcun danno all’Erario.

Così è accaduto anche nella vicenda oggetto di causa, durante la quale la sentenza della CTR Veneto, aveva ritenuto patologica la situazione, ma spropositata la sanzione del 30%, sancendo una opportuna riduzione alla metà.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, fondando la propria difesa sul fatto che CTR non considerava che si “trattava di uno sforamento non consentito dal bilancio dello Stato, che prevede dei limiti per ragioni di contabilità generale, quindi il medesimo comportava il mancato versamento dell’Iva per la parte non ammessa in compensazione, con la conseguente applicazione della sanzione nella unica misura prevista del 30%, non riducibile per la totale assenza di circostanze eccezionali, come del resto dedotto in grado d’appello, senza che però il giudice avesse delibato la questione”.

La censura ha fatto presa sui Giudici della Cassazione, che muovono il proprio ragionamento su due direttrici:

  1. l’esistenza di una violazione ad una norma tributaria;
  2. l’assenza delle circostanze che consentono la riduzione della sanzione applicabile.

In merito al primo punto, si riscontra che il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, come nella specie, così come accade ogniqualvolta la compensazione stessa sia utilizzata in assenza dei relativi presupposti.

In tal senso, si richiamano due precedenti:

  • Cassazione, Ordinanza n. 18369 del 26/10/2012: (rigettando CTR Venezia del 16/06/2006) in tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art.13 del d.lgs. n. 471 del 1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti;
  • Cassazione, Sentenza n. 8681 del 16/04/2011: (rigettando CTR Roma del 07/06/2007) in tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art.13 del d.lgs. n. 471 del 1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti.

Oltre ai precedenti citati dalla Corte, aggiungiamo anche un pronunciamento più recente, rinvenibile dalla sentenza n. 2215 del 31/01/2014: (cassando CTR Salerno 26/11/2007) in tema di agevolazioni tributarie, l’art. 25, secondo comma, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, nel testo utilizzabile “ratione temporis”, sancendo che “il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi che possono essere compensati è, fino all’anno 2000, fissato in lire 500 milioni per ciascun periodo di imposta“, ha inteso introdurre, per ciascun periodo d’imposta, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione crediti fiscali e debito IVA, al fine di garantire allo Stato un certo reddito che non potesse elidersi, per ciascun contribuente, oltre la soglia di lire 500 milioni.

Aggiungiamo, infine, che in sede di risposta ad interrogazione parlamentare 5-03943 del novembre 2014, il sottosegretario ebbe modo di affermare che, a differenza … dell’ipotesi in cui il contribuente ottenga un rimborso Iva non spettante per difetto dei presupposti, nel caso di utilizzo in compensazione di un credito esistente oltre il limite previsto, si produce un effetto concreto riconducibile all’omesso o ritardato versamento e pertanto, come ribadito dall’Agenzia delle entrate nella circolare 13 marzo 2009 n. 8/E, si determina un danno c.d. di cassa all’Erario consistente “nella sottrazione di liquidità all’Amministrazione finanziaria”.

Per corroborare il parere – convincendo coloro che ritenevano l’ipotesi assimilabile a quella del rimborso non spettante –  si citava ulteriormente la Cassazione (Ordinanza n. 06/07/2010 n. 15938), ove si affermava “l’evidente diversità delle due fattispecie” e “la palese impossibilità di individuare una medesima ratio sanzionatoria nei due casi“.

In merito alla seconda questione, la sentenza afferma chiaramente che la misura della sanzione prevista “ex lege” non poteva essere ridotta dal giudice di merito in assenza di circostanze eccezionali ex art. 7, comma 4 D.lgs. n. 472/97, “per le quali alcuna prova era stata addotta da parte della società appellata, senza che l’entità della stessa fosse stata determinata “ab origine” in modo discrezionale, bensì col criterio proporzionale del 30%, come previsto dalla normativa di riferimento”.

Ricordiamo che la citata disposizione prevede che: “qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.

Prendendo atto della posizione che potremmo definire ormai consolidata, ricordiamo che differente è la casistica di utilizzo in compensazione di un credito inesistente; infatti, l’articolo 27, comma 18, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 prevede la sanzione dal cento al duecento per cento della misura del credito stesso, sanzione più grave rispetto a quella comminata nel caso di credito utilizzato in misura superiore a quella spettante, che invece è pari al 30 per cento dell’importo non versato ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.