29 Luglio 2016

La clausola risolutiva espressa nei contratti di locazione

di Leonardo Pietrobon
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Una delle più importanti clausole contrattuali, sulla quale solitamente locatore e conduttore pongono la propria attenzione, è rappresentata dall’eventuale clausola risolutiva espressa. In base a tale condizione contrattuale le parti stabiliscono, ex ante e quindi al momento della sottoscrizione del contratto, che il loro rapporto giuridico si può risolvere nel caso in cui una o più specifiche obbligazioni non siano adempiute secondo le modalità individuate nel corpo dello stesso contratto.

Dal punto di vista giuridico la c.d. clausola risolutiva espressa è contenuta nell’articolo 1456 del codice civile secondo cui “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando una parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”.

Da un’analisi di detta clausola emerge come il Legislatore nazionale abbia voluto strutturare detta clausola quale patto accessorio al contratto principale, e abbia voluto tutelare l’interesse creditorio del soggetto che deve ricevere una prestazione contrattuale, ma solo in quella misura pattuita con il debitore. Sono le parti, quindi, che al momento della stesura del contratto, in base alla rispettiva forza contrattuale, indicano il limite oltre il quale il debitore dovrà considerarsi inadempiente.

In particolare, la clausola risolutiva espressa:

  • dispensa il locatore dalla necessità di adire il giudice per chiedere la risoluzione del contratto;
  • gli consente di risolvere stragiudizialmente il contratto con una semplice “dichiarazione”, indirizzata al conduttore (e quindi recettizia), di volersi avvalere della suddetta clausola; di conseguenza, se un giudizio vi sarà, esso tenderà all’accertamento della già avvenuta risoluzione e non alla sua produzione in forma di sentenza;
  • fa sorgere a favore del creditore un diritto a provocare la risoluzione del contratto di locazione.

In presenza di una clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di locazione, che disciplini il mancato puntuale pagamento del canone, il giudice non è più chiamato a valutare l’importanza (gravità) dell’inadempimento: sarà sufficiente accertare che detto inadempimento sia imputabile al debitore.

Tuttavia, nelle locazioni abitative si è posto il problema della compatibilità fra la stipula di una valida clausola risolutiva espressa e la disciplina di cui agli articoli 5 e 55 L. n. 392/1978 che prevedono, appunto, da una parte, una norma speciale sull’individuazione della gravità dell’inadempimento (c.d. mora qualificata), in deroga alla valutazione discrezionale del giudice di cui all’articolo 1455 del codice civile, e dall’altra, la legittimazione della sanatoria della morosità in sede giudiziale.

Sul punto la giurisprudenza ha affermato che:

  • Nel regime delle locazioni soggette alla n. 392/1978, la clausola risolutiva espressa per il caso di mancato pagamento del canone alla scadenza stabilita non incorre nella nullità di cui all’articolo 79 L. citata, ma è destinata semplicemente a rimanere quiescente in relazione alla possibilità del conduttore di sanare in giudizio la morosità ai sensi dell’articolo 55 stessa legge; con la conseguenza che, ove quest’ultima disposizione non possa trovare applicazione (come nel caso in cui il locatore proponga un giudizio ordinario di risoluzione del contratto, di per sé incompatibile con la speciale sanatoria della morosità disciplinata dalla suddetta norma), la clausola risolutiva espressa può esplicare pienamente, fin dall’inizio, la sua efficacia” (sul punto si veda la Corte di Cassazione sentenza 9.2.1998 n. 1316);
  • Con riguardo ai contratti soggetti alla disciplina sull’equo canone, l’efficacia della clausola risolutiva espressa, che sia stata pattuita, rimane sospesa, ancorché il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere, sino alla prima udienza del giudizio instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione della locazione con la conseguenza della definitiva inefficacia di detta clausola ove il conduttore in tale udienza sani la morosità” (si veda la sentenza della Corte di Cassazione 11.1993 n. 11284).

La clausola risolutiva espressa non è infine da considerarsi clausola vessatoria ex articolo 1341 del codice civile, non necessita, pertanto, dell’approvazione per iscritto.

La clausola risolutiva espressa non può essere ricondotta tra quelle che sanciscono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, aggravando la condizione di uno dei contraenti: la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto è insita nel contratto stesso e tale clausola non fa che rafforzare detta facoltà ed accelerare la risoluzione, avendo le parti anticipatamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, e quindi eliminato la necessità di un’indagine ad hoc, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (Corte di Cassazione sentenza 28.6.2010 n. 15365).

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