21 Novembre 2018

Cessioni Ue: il requisito della fuoriuscita dei beni dall’Italia

di EVOLUTION
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La disciplina delle cessioni intracomunitarie è regolata dall’articolo 41 del D.L. 331/1993, il quale prevede la non imponibilità dell’operazione a condizione che il bene venga trasportato nell’altro Paese Ue.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Evolution, nella sezione “Iva”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo fornisce un’analisi introduttiva della disciplina, prendendo spunto dal Principio di diritto n. 10/2018 recentemente pubblicato dall’Agenzia delle entrate.

L’invio dei beni in altro Stato comunitario costituisce elemento strutturale della cessione intracomunitaria in assenza del quale non può considerarsi legittima l’emissione della fattura senza applicazione dell’imposta.

Peraltro, la circostanza che i beni oggetto della cessione siano sottoposti a lavorazione (da parte del cedente stesso o di terzi e per conto del cessionario) prima di essere consegnati all’acquirente finale non comporta alcun mutamento della natura dell’operazione (che rimane una cessione intracomunitaria). Sul punto si è espressa l’Agenzia delle Entrate con il Principio di diritto n. 10/2018. Nel caso affrontato dal documento di prassi il cessionario dell’operazione è un soggetto passivo greco che chiede al cedente nazionale di trasferire i beni in Portogallo, per essere di lavorati in tale ultimo Stato da parte di un soggetto Iva portoghese; successivamente alla lavorazione i beni vengono trasferiti in Grecia a cura del lavorante portoghese. Nel principio in questione si precisa che il soggetto greco è identificato ai fini Iva in Portogallo, ma tale circostanza non influenza in alcun modo la natura dell’operazione, la quale rimane in ogni caso una cessione intracomunitaria in quanto, da un lato, i beni hanno come destinazione finale il paese di stabilimento del committente (e non quello dove è effettuata la lavorazione, in cui transitano solo temporaneamente) e, dall’altro lato, la proprietà dei beni è trasferita dal cedente italiano al committente nel paese di destinazione del bene.

Pertanto, deve ritenersi che le vendite di beni con destinazione in altro Stato Ue sono cessioni intracomunitarie non imponibili Iva anche se nel Paese in cui sono sottoposte a lavorazione il committente comunitario è identificato ai fini Iva.

Ciò detto, diversamente da quanto previsto in materia di esportazioni dall’articolo 8, D.P.R. 633/1972 (non imponibilità subordinata alla prova doganale), nel caso delle cessioni intracomunitarie, né il legislatore nazionale né quello comunitario hanno, tuttavia, previsto disposizioni specifiche in materia di prova dell’uscita dal territorio nazionale, né con riferimento alla tipologia di documenti né con riguardo all’incombenza dell’onere probatorio (fanno eccezione le cessioni di beni soggetti ad accisa – articolo 41, comma 1, lett.a), ultimo periodo D.L. 331/1993 – per le quali la non imponibilità è condizionata al fatto che il trasporto o spedizione dei beni avvenga in conformità alle disposizioni degli articoli 6 e 8, D.L. 331/1993).

Invero, la Direttiva 2006/112/CE all’articolo 131 si limita a precisare che le esenzioni (fra le quali quelle per le cessioni intracomunitarie) si applicano (salvo le altre disposizioni comunitarie) “alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime … e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”.

Detto ciò, giova ricordare quanto precisato dalla giurisprudenza comunitaria (sentenze della Corte di giustizia 27/9/2007, causa C-146/05, causa C-184/05 e C-409/04 e, più di recente, sentenza 6/9/2012, causa C-273/11) che, nel ribadire come l’esenzione divenga applicabile solo se a seguito della spedizione o trasporto in altro Stato membro il bene ha lasciato il territorio dello Stato membro di cessione, ha altresì evidenziato quanto segue:

  • spetta agli Stati membri stabilire quali siano i mezzi idonei che il contribuente è tenuto a fornire per dimostrare l’effettiva cessione intracomunitaria, con il limite del rispetto dei principi di neutralità, certezza e proporzionalità delle misure (eventualmente) adottate;
  • il fatto che l’acquirente abbia presentato alle autorità dello Stato membro di destinazione una dichiarazione relativa all’acquisto intracomunitario (Intrastat) può costituire una prova supplementare diretta a dimostrare che i beni hanno effettivamente lasciato il territorio dello Stato membro di cessione, ma non costituisce una prova determinante;
  • l’attivazione della mutua assistenza fra Amministrazione finanziaria dei diversi Stati, non può in alcun modo configurarsi come obbligo di queste ultime, per una articolata serie di motivazioni, tutte riconducibili alla oggettiva complessità ed onerosità, in termini di risorse, necessaria per una tempestiva ed esaustiva evasione;
  • l’onere della prova che i beni siano stati transitati in altro Stato membro ricade sul fornitore, con la precisazione che le Autorità fiscali degli Stati membri non sono autorizzate a disconoscere l’applicazione del regime di non imponibilità della cessione intracomunitaria quando le prove, esteriormente e formalmente valide acquisite dal fornitore, si rivelino successivamente false, senza che risulti tuttavia provata la partecipazione del fornitore medesimo alla frode fiscale, qualora egli risulti aver adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione intracomunitaria effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode fiscale. In tal senso, è privilegiata la buona fede del fornitore se costui abbia agito con la diligenza dell’operatore economico “esperto” e, quindi, oltre la prassi ordinaria d’uso.

Si pone, pertanto, il problema, per gli operatori, di come documentare l’uscita dal territorio nazionale. In linea di principio va precisato che in mancanza di specifiche disposizioni normative che identifichino la documentazione probatoria, qualsiasi idonea documentazione con carattere di certezza e incontrovertibilità è da ritenersi valida.

Il problema di fondo è essere convincenti agli occhi dei verificatori che, dalla parte opposta, devono, invece, riscontrare la presenza del requisito dell’uscita dal territorio nazionale.

Non va dimenticato che il lecito obiettivo dei verificatori è quello di ricercare e contrastare situazioni di evasione e frodi carosello.

Va osservato che, dal lato fornitore, le maggiori problematiche sono legale alle cessioni con resa franco fabbrica (EXW) poiché il fornitore perde il controllo della merce con la consegna della stessa presso il proprio magazzino.

Ferma restando la teorica validità anche della resa franco fabbrica (l’articolo 41, D.L. 331/1993, infatti, prevede espressamente che il trasporto può essere eseguito dal fornitore o dal cessionario oppure da un terzo per conto dell’uno o dell’altra parte) giova, infatti, osservare che quando un’impresa vende con tale resa pone fine ai problemi “logistico-gestionali” ma dà inizio a quelli fiscali.

Meno problematica, invece, la situazione di rese che prevedono la spedizione a carico del cedente (in particolare quando la resa è a destino in altro Paese UE, cioè fuori dal territorio nazionale) e la stessa viene eseguita da vettori terzi.

Tutto quello che sta in mezzo potenzialmente crea problemi documentali più o meno spinti a seconda della sensibilità del verificatore.

Nella Scheda di studio pubblicata su EVOLUTION sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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